e c'era questo ritratto
di Bambina accanto al seggiolone di
Govert Flink, del 1640, che senza andare a pescare tra i Bambin Gesù o
Giovannini vari, e nemmeno tra i Bronzino e i Velasquez o altri bambini
olandesi da soli o in quadri di famiglia come quello di Pieter Fransz de
Grebber di Lisbona di cui ho già parlato, o anche da soli, come certi Franz
Hals o Judith Leyster, mi ha ricordato, oltre al magnifico Ritratto di una bambina della famiglia Redetti (1566-70 ca) di G.B.
Moroni dell'Accademia Carrara di Bergamo con un'associazione del tutto
personale e non fondata su parentele iconografiche di rilievo, se non per
opposizione per quanto può essere bella, e infantile, non signorina né vecchina,
una bambina anche in gran tenuta con abitino di broccato, gorgiera e maniche
candide di seta o mussola, ma i capelli liberi, con sopra un nastro e un
gioiellino delicato che riprende sia gli orecchini e la collana di perle che il
discreto braccialettino di corallo al polso destro, mi ha ricordato, dicevo, il
Bambino giacente nella culla (158) di
Lavinia Fontana che mi aveva colpito anni fa alla Pinacoteca di Bologna, chiuso
nelle fasce come tanti bambini di quando ero piccolo anch'io e forse, per un
po', io stesso, rigido come un morto (come il Lazzaro stretto nelle sue bende
funebri di Giotto agli Scrovegni) con quegli occhi spalancati in quella che
sembra meno una culla che un catafalco, e quell'altro bimbo, sveglio e dalle
guanciotte rubizze, nella bellissima Merlettaia
di Nicolas Maes (1656-7), al Metropolitan, saldamente in piedi nel gabbiotto
del seggiolone, con quella splendida ciotola smaltata di bianco e il cucchiaio
per la pappa e un bicchiere rovesciato a terra sull'impiantito di assi, che
tiene in mano un oggetto che assomiglia al sonaglio appeso al collo della bambina
di Flink, che la lunga veste bianca sembra invece far levitare sopra il
pavimento in piastrelle grigie lustrissimo (con quella mania dell'ordine e
della pulizia che tanto colpiva i visitatori stranieri dell'Olanda del tempo,
specie i Francesi che quanto a igiene e pulizia della persona e degli ambienti
lasciavano parecchio a desiderare - come, sia detto en passant, certi
alberghetti a Parigi dove soggiornavo quando ero giovane che, se avevano il
vantaggio di essere in centro e costare poco, non avrebbero però superato una
visita dell'Asl manco se fossero stati dei canili municipali), racchiusa negli strati
dell'abitino con la sua giacchetta e mantellina come in un morbido scafandro,
inclusa quella cuffia da beghina che nemmeno la ghirlanda di fiori riesce a
ingentilire, e bardata, come certe Marie Bambine nelle processioni paesane, di
collane e braccialetti d'oro, come dorati sono il lungo nastro a cui è appeso
il sonaglio (d'ottone?) e il tessuto
della borsetta da sera che tiene al braccio destro, mentre l'altro si appoggia
al seggiolone aperto che sembra una scultura con baldacchino, sul cui piano ci
sono dei dolcetti di zucchero a sottolineare, non bastasse il resto, la
ricchezza e la cura e l'affetto di cui viene fatta oggetto, póra s'ciàta, monumentalizzata
dalla postura e dallo sfondo scuro da cui emergono, come apparizioni di incerti
fantasmi, tracce biancastre, ectoplasmi forse di abiti o tende o chissà che,
tanto che lei stessa appare, a un primo sguardo, una vecchina presaga della
morte, tristissima, mentre invece, a uno sguardo più ravvicinato dopo essersi
fatti strada tra la ressa, il suo volto da bambina risalta in tutta la sua
vivezza, con le guance lei pure rubizze, anche troppo, quasi un sospetto di
malattia polmonare, o viceversa un indicatore di buonissima salute, gli occhi
grandi, spalancati, forse un po' intimiditi, o con un velo di stanchezza per la
postura e l'immobilità a cui almeno per un po' sarà stata costretta, ma vivace,
dolce, da far tenerezza anche a un cuore prosaico, smagato come il mio.
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