26/07/14

Figura di schiena (Materiali e itinerari, 1-3)



 Alla ricerca delle figure di schiena - 1° itinerario

Vorrei suggerire, per quest’estate, alcuni itinerari alla ricerca di Figure di schiena (d’ora in poi fds) per chi è in ferie, o in giro, o solo ha voglia di fare una gita o una visita a qualcosa di bello. Segnalerò luoghi dove ce ne sono alcune che ho usato nel libro o che posterò qui, divise per categorie, con l’invito però a chi lo desidera a cercarne delle altre, magari specializzandosi in alcune delle categorie che specificherò più avanti di suo particolare gradimento, e di mandarle poi al sottoscritto (grazioli.luigimario@gmail.com), che provvederà a pubblicarle nelle cartelle appositamente preparate con i dati di chi le avrà inviate, se lo desidererà.
Suggerisco di limitarsi a opere che non vanno oltre la soglia del 1600, se non per casi molto speciali, perché dopo e sempre più avvicinandosi ai nostri giorni, le fds non solo si moltiplicano, ma cambiano in parte statuto rispetto a quelle analizzate nel libro. (Un esempio nel post qui accanto.)

Primo Itinerario
Il viaggio alla ricerca delle fds potrebbe cominciare, come molti altri della storia della pittura, da Giotto, quello di Padova però, della cappella Scrovegni, e non quello di Assisi, dove ce ne sono molte meno e meno significative (anzi, dove mancano in scene analoghe ad altre che a Padova invece le contengono: per es. Nell’apparizione di S. Francesco a Arles da una parte e L’ultima cena e La pentecoste a Padova; o La morte di S. Francesco e il Compianto della Scrovegni; le altre trovatele voi, se ve ne lasciano il tempo e non vi cacciano fuori perché è scaduto (http://grazioliluigimario.blogspot.it/2014/04/quello-che-ho-imparato-dalla-visita.html).


(Già che siete a Padova, io darei ben più di un’occhiata alla  straordinaria Cappella di San Giacomo nella Basilica del Santo e al vicino Oratorio di San Giorgio di Altichiero. C’è molto da scoprire, anche in termini di fds. E allora perché non fare un salto a vedere gli affreschi del giovanissimo Mantegna della cappella Ovetari agli Eremitani, e, nell’adiacente museo, anche il meraviglioso quadretto della Partenza degli Argonauti di Lorenzo Costa, il cui incanto nessuna riproduzione può sperare di solo avvicinare? Io ci torno ogni volta che posso.) 

Visto che siete in Veneto, io farei anche un salto a Verona a vedere il Pisanello di Sant’Anastasia (ma in città c’è dell’altro che vi lascio scoprire, in particolare al Museo Castelvecchio ); poi da lì non a Bergamo, dove ci sarebbe la meravigliosa Accademia Carrara che però è visibile solo in parte, fino all’anno prossimo, ma a Trescore Balneario a cercare le fds della cappella Suardi di Lorenzo Lotto. Se qualcuno ama le terme può fermarsi a Trescore; se gli piace il lago, può salire al piccolo lago d’Endine, che è a pochi km, e dopo o svoltare a sinistra e andare a Clusone a vedere il bellissimo affresco del Trionfo della morte nella Collegiata e la cappella con Compianto in sculture policrome e altri affreschi, o proseguire per Lovere e da lì scendere sulla costa bresciana del Lago d’Iseo e fermarsi a Pisogne a ammirare quelle degli affreschi del Romanino nella chiesa di Santa Maria della Neve (se passate da Trento negli affresci del catello ce ne sono altre).
Poi chi è stanco, o ha tempo, può fermarsi nei paraggi, e dormire sul lago e salire l’indomani in Valcamonica a vedere i meravigliosi graffiti camuni in vallettine incantevoli, dove si respira un che di sacro, o scendere verso l’autostrada A4, e mangiare e soprattutto bere (benissimo: chi non guida però) in Franciacorta prima di proseguire per Milano (di cui parlerò in prossima puntata).


2. Back, di Florian Beaudenon

Un amico mi suggerisce queste figure di schiena:
 http://florianbeaudenon.com/albums/back/


È tutta gente giovane, con la pelle liscia, ancora elastica, che le imperfezioni non minano, e anzi rendono più belle di molti tatuaggi. I capelli scendono, una si volta, ma il volto non importa. Desideri vederlo finché resta invisibile, poi non importa più. I capelli contagiano della loro sensualità le schiene, non viceversa: ma allora il desiderio è lo stesso, l’impulso a toccare, a misurare i rilievi delle spine dorsali, tutte perfette.


Sono figure di schiena che non mi interessano molto però, perché, a parte che sono fuori tempo massimo rispetto ai limiti che mi ero prefissato (fino al XVII secolo), vogliono essere, e sono, figure individuali, nel senso che ambiscono a essere, oltre che belle come solo una foto può ambire di essere (ciò che è il limite di ogni foto, del resto), dei ritratti per via negativa, con il volto inscritto da un’altra parte, nella grana dell’epidermide, nella lucentezza e lunghezza e nel movimento dei capelli, nella trama dei nei e dei melanomi, e nel disegno e nella posizione o nell’invasione dei tatuaggi. Vogliono essere di più dandosi come un di meno, o nella negazione del di più per eccellenza: il volto, gli occhi, l’espressione. Sì, sì, va tutto bene, confesso l’attrazione momentanea, l’increspatura fulminea della libido, ma non era questo che mi aveva colpito, o che cercavo, nelle figure di schiena della pittura classica, che non sventolavano la negazione, non se ne facevano belle, e se ne stavano invece lì nel loro abbassamento, sulla via di scomparire, di essere niente e nessuno, eppure irremovibili, uniche perché generiche, uniche nella genericità.





3. Jan e Buster che ridono



Mi scrive Tommaso Isabella, che ringrazio:
Ciao Luigi, a proposito di schiene, ti segnalo questa di Keaton, che avevo messo qualche tempo fa come profilo e che magari conoscevi già, non so, è più una curiosità. Era una fotografia che pubblicizzava il passaggio alla distribuzione dei suoi film per la United Artists (1923 ca.) e fu lanciata come “l’unica foto in cui Buster Keaton sorride”. TI posto sotto l’originale e il poster in cui venne inserita.


Conoscevo la foto, da cinquantennale patito di Keaton, ma non l’aneddoto e il manifesto. Grazie Tommaso!
A proposito di sorriso, estraggo questo passaggio dal libro, che parla del pittore nell’Atelier di Vermeer:
Allo stesso tempo, però, il pittore nel quadro, nell’insieme dell’ambiente rappresentato (cioè l’atelier) segnala anche la parte che egli ha nella sua composizione, che ritaglia accosta struttura la realtà; che la mette in posizione (in posa); che la inventa, e dispone tutto non solo nello spazio ma anche nel tempo, persino la realtà apparentemente senza tempo della natura, delle cose e della luce. Dovendo attribuirgli un’espressione, nel versante che ci è impedito di verificare, verrebbe più facile immaginarlo che, pur pensoso e concentrato, sorride. E sorride perché non sapremo mai venire a capo del marchingegno che ha messo in funzione, che come detto si rilancia ad ogni nuovo piano che gli si possa trovare, e soprattutto perché non sapremo mai se sorride davvero (che è una ragione in più per farlo davvero).



  questi testi sono pubblicati in contemporanea anche qui: 
http://luigi-grazioli.tumblr.com/


L'ebook  invece (150 pagine, 4 euro) si può acquistare qui:


Nessun commento:

Posta un commento