Lo confesso: anch’io ho desiderato andare a Santiago.
A piedi, in compagnia del mio amico Lucio. Ma era in tempi lontani, quando eravamo
più giovani e il cammino di Santiago era molto, ma molto meno affollato. Ne abbiamo
fantasticato per anni, in lungo e in largo, e alla fine ci siamo accontentati
di percorrerlo così. Tenendo però la porta socchiusa: non si sa mai… magari
quando avessi raggiunto la pensione. E io ci sono arrivato sì, alla pensione,
ma ora è Lucio che non è più molto atletico (è anche vero che l'ultima volta lo è stato a vent'anni, però...).
La volevamo percorrere non come pellegrini, ma come
sfaccendati laici, non credenti, con la riserva di prendere il pullman o il
treno (e persino il taxi!) ogni volta che ne avessimo avuto voglia: per il
caldo o il freddo o la pioggia, o perché stanchi, o stufi. Sarebbe stato
l’itinerario di due turisti senza allenamento, nemmeno l’allenamento al
turismo; una serie di passeggiate consecutive di due che già camminavano spesso
insieme, chiacchierando del più e del meno, a volte di cose anche serie, come
si suol dire, altre delirando in coppia. Una forma mobile di indolenza. Una
lunga citazione a piedi.
Di sacro neppure un’ombra. Neanche lontanamente. E
infatti, forse, a tenerci lontani, più di ogni altra considerazione o
irresolutezza o pigrizia o velleitarietà, a tenerci lontani (io perlomeno,
perché lui sottosotto una qualche forma di fede l’ha sempre cullata, come spesso capita ai cinici radicali) è stato proprio il rigurgito del sacro di cui il Cammino era diventato uno dei simboli.
Uso i due sostantivi (rigurgito e sacro) con cognizione di causa. Dicono che il
sacro sia necessario; che il suo ritorno sia auspicabile per mille e una
ragioni, in primo luogo per il rispetto del mondo che comporterebbe. Non so. A
me pare che il poco che sopravvive (poco?) sia ancora troppo. Con quello,
io preferisco non andare da nessuna parte. E il mondo lo rispetto (lo amo) comunque, senza che mi serva una ragione.
qui Lucio in occasione di uno dei nostri viaggi a Santiago mentre da par suo illustra la metafisica del paesaggio mentale
Sono perfettamente d'accordo con te, Luigi: ogni qualvolta si parla di sacro, spunta un sacer-dote (quando non un profeta a Congresso). E allora addio laicismo. Senti cosa dice il tuo amico Arminio: "Non c'è sacro e non c'è sacrificio, almeno in questo luogo sfrangiato e senza contorni che è il cosiddetto Occidente. Nessuno ha usato la parola meglio di Cristo, nessuno ha costruito metafore altrettanto potenti e durevoli. Dio è scaduto ma non le metafore del figlio. Da qui bisogna partire, dalla capacità di sentire la parola come qualcosa di profondamente concreto. Il fare per eccellenza è il fare poetico (che quasi mai coincide con la scrittura delle cosiddette poesie) e non la ricerca della ricchezza, di piaceri e successi sociali. La nostra esperienza prende slancio se ritrova la parola" Tu l'hai trovata, nel vero senso immediato...della parola, e io sono d'accordo con Arminio solo nel senso lato della stessa: è parola l'arte, il linguaggio specifico di ogni arte.
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