Ci sarebbero poi questi due, che per una breve stagione della loro vita
(una ventina d'anni), hanno giocato a fare i discepoli di Bouvard e Pécuchet.
La loro passione era la piccola contabilità delle disgrazie esotiche. Uno si
era specializzato sui disastri nelle miniere cinesi, con occasionali
integrazioni russe e subequatoriali; l'altro in incidenti ferroviari indiani e
naufragi di barconi fluviali, ma solo di grandi fiumi, di fiumi storici (la
storia era la sua disciplina preferita: in particolare quella militare, che
però non aveva scelto per il dovere di contabilità a causa della scarsità di
materia attuale, o dell'indegnità, ora non ricordo bene). Poi il primo, poiché
l'attualità lo lasciava spesso inoperoso, ha aggiunto i pullman e altri mezzi
di trasporto collettivi che cadevano da ponti e scarpate in genere, ma con
preferenza per quelle andine. Discepoli poltroni e che l'episodicità degli
eventi e la scarsità delle fonti (giornali, teletext, con qualche incursione
nel web, troppo sporadica per essere significativa) non invogliava a
intensificare la dedizione. Integravano cercando di aggiungere materiale di
propria mano allo sciocchezzaio, ma questo non bastava a redimerli. Ogni volta
che si incontravano, esponevano con qualche commento improvvisato (dilettanti!)
i risultati delle rispettive ricerche. Fatte le somme, chi aveva ottenuto il
numero minore pagava il caffè. Ma non sempre. Più spesso facevano qualche passo
in silenzio e passavano ad altro con una battuta più o meno infelice.
Uno lo conosco abbastanza bene (è Lucio K., il mio migliore amico); l'altro
quasi altrettanto: sono io.
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