23/03/15

Jerzy Kosinski, L'uccello dipinto





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Lekh il cacciatore, quando la sua selvatica e forse pazza amante lo evita troppo a lungo, prende dalla gabbia uno dei suoi uccelli, lo dipinge con i colori più variegati e lo porta nella foresta. Quando il canto del prigioniero ha fatto accorrere molti compagni, Lekh lo libera così che possa volare a raggiungerli. ma se gli altri avevano con sicurezza individuato la voce, non ne riconoscono ora l’aspetto e prima cercano di emarginarlo, poi a turno lo attaccano fino a ucciderlo.
È la sorte a cui tenta di sfuggire lungo tutto il romanzo il protagonista di L’uccello dipinto, un bambino polacco di origini forse ebraiche forse zingare che i genitori, nel 1939, mandano in campagna per sottrarlo all’orrore dell’invasione nazista. Se non che, anche in campagna, non sempre il suo aspetto passa inosservato, e ben presto quella che doveva essere la relativa sicurezza di uno sfollato protetto dall’innocenza dell’età, si trasforma in una lunga peregrinazione tragica.
Quasi mai amato, raramente tollerato o superstiziosamente rispettato, più spesso oggetto di violenze e persecuzioni, il bambino si trova così ad attraversare tutto il panorama etnico sociale religioso e politico della Polonia durante i 6 anni di guerra, in una lunga fuga che, se lo ferisce, terrorizza e umilia da una parte, diventa tuttavia la sua singolare scuola di sopravvivenza e costituisce infine la sua iniziazione alla vita.
Se però la crescita del protagonista fa da motivo conduttore e fornisce il legame narrativo ai vari episodi del romanzo, sono questi nella loro specificità e autonomia che prendono il più delle volte il sopravvento, come segnala anche il loro incapsulamento separato in ciascun capitolo. Più che l’elemento della formazione del bambino cioè, importa la parata del mondo davanti e attorno a lui, il catalogo tendenzialmente esaustivo degli affetti, ma soprattutto delle aberrazioni e degli orrori che sfila davanti ai suoi occhi o gli piomba addosso.
La presunta innocenza del testimone infantile, l’attenzione costante di colui che tutto deve osservare per imparare e per difendersi ma che da tutto viene attratto perché inedito e quindi significativo, sedotto anche, e forse più, dalle atrocità, favorisce inoltre una scrittura che, lungi dall’attenuare, intensifica in crudezza la rappresentazione delle esperienze vissute e immaginate, senza che vada perso, in molti casi, il loro risvolto poetico.
Ne risulta un romanzo originale e composito: romanzo di formazione in una struttura narrativa picaresca incentrata sulla classica motivazione del viaggio (qui della fuga), fortemente delimitata in senso tanto temporale (la durata della guerra), quanto esistenziale (la contrastata accettazione della vita), ma altrettanto fortemente elastica nelle componenti interne.
Come dire che, stabiliti certi confini, si può in un certo senso parlare di tutto. E di tutto appunto si parla in L’uccello dipinto: della campagna, della foresta, della montagna e della città; dei bambini, degli adolescenti, degli adulti e dei vecchi; dell’amore, della paura, della mostruosità e della pazzia; della superstizione, della religione, del nazismo e del comunismo; della tenerezza, della sopraffazione, del sesso e dello stupro. Il limite ideale, ovvero il vincolo teorico della costruzione, non è che la minuziosa redazione della mappa geografica, umana e immaginaria di quella Polonia in cui Kosinski (già noto come autore di Presenze, Mondadori, 1980, da cui è stato tratto il film Oltre il giardino) ha vissuto fino a 24 anni, quando nel 1957 si è trasferito negli Stati Uniti.
È lecito ignorare, o lasciare al discernimento del lettore, se Kosinki abbia inteso conferire a questo suo romanzo qualche porta metaforica concernente le contraddizioni del suo paese d’origine e la lunga storia delle violenze che ha dovuto subire, o se il suo sguardo puntasse oltre, verso una più generale condizione umana, o al di qua, alla liberazione da fantasmi forse non soltanto suoi; quel che importa è che L’uccello dipinto riesca come prima cosa a imporre con forza la ricchezza della sua letteralità, come difatti succede sin dalle prime pagine. Al pari del bambino, anche il lettore resta affascinato e insieme perturbato dal susseguirsi degli avvenimenti, medusato da orrori da cui vorrebbe distogliere lo sguardo e insieme boccheggiante verso le pause di umanità, e soprattutto verso il desiderio di liberazione finale.
La lettura diventa così una specie di coazione a proseguire, coinvolgente come ormai capita sempre più raramente, ma anche, nello stesso tempo, pericolosa in quanto distoglie in misura proporzionale dai meccanismo di scrittura e di costruzione. È facile supporre che questo rientrasse negli obiettivi di Kosinski, ed è indice del suo valore il fatto che li abbia raggiunti, e tuttavia non bisogna dimenticare che la lettura si dispiega nel tempo e che prima o poi il lettore ne emerge, per poco o molto che sia.
Gli risulta evidente allora che proprio là dove risiede la ricchezza del libro, la sua varietà, comincia anche il suo limite: saturare la mappa è impossibile e, se manca o non è abbastanza forte qualche principio di coesione interna, la collazione dei suoi elementi può diventare arbitraria o meccanica. Se però vogliamo vedere nell’escalation delle atrocità, e nella loro denuncia (se di questo si tratta) in alternanza alla poesia e alla tenerezza che forse solo la natura e l’emarginazione possono offrire, il colante interno, allora risulta un po’ forzata la conclusione ottimistica, a meno che non si voglia dare troppo peso agli argomenti della forza della vita che continua e dell’amore parentale, che banalizzerebbero però gran parte del romanzo, ribaltandolo a loro semplice complemento negativo.
Ma certo si tratta di appunti marginali: forse infatti, nonostante ogni desiderio di razionalizzazione, è proprio nell’infinitezza della mappa, accanto alle già citate qualità stilistiche e fantastiche , che deriva l’originalità del libro: il cerchio non si chiude ed è inutile cercarne principi organizzativi, così come la violenza va al di là di ogni tentativo di spiegazione.



Jerzy Kosinski, L’uccello dipinto, Longanesi & C, Milano, 1981





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