L’ultima
cartolina arriva da Praga. Raffigura un vecchio cimitero fotografato dall’alto.
Centinaia di lapidi spuntano dal nudo terreno in modo irregolare come una
dentatura mostruosa, in genere accatastate a gruppi l’una contro l’altra, con
rare spaziature punteggiate da singole pietre più piccole. Hanno forme e
dimensioni differenti, alcune più slanciate, altre più tozze, ma quelle che non
sono state spezzate o smussate dal tempo terminano quasi tutte a punta.
L’azione del tempo e di uomini non pietosi, l’abbandono e l’incuria, oltre
forse a un errato viraggio della foto, ne ha invece reso uniformi i colori
velandole tutte di una tonalità terrigna, dal bianco sporco al marrone cupo,
mentre in origine dovevano essere quasi tutte bianche e solo poche di pietra
scura, ma non nera. Quelle che una volta erano levigate ora tradiscono una
porosità che le rende rugose e quasi crivellate di fori sbavati; le incisioni
sono semicancellate, illeggibili, le poche decorazioni smangiate e appiattite.
L’accumulo disordinato, l’assenza di vialetti o di qualsiasi intervallo che le
separi, fanno pensare che nessuno sia mai stato sepolto lì sotto, o che i corpi siano stati allineati
verticalmente nella terra come libri sugli scaffali di una caotica biblioteca
infera. Alcuni tronchi affusolati hanno trovato modo di farsi spazio qua e là,
piante a loro volta disordinate e morte, tranne una, i cui rami verdeggianti
spuntano dal margine sinistro, e pochi rametti ostinati con foglioline casuali
e rade che sembrano voler incitare i loro tronchi a riaversi e invece ne
consumano le ultime riserve. Tronchi, rami secchi e lapidi si aggrovigliano
ancor di più nella parte superiore della cartolina, formando un diverso cielo
al posto dell’altro, assente meno a causa della prospettiva aerea, si direbbe,
che per un’estraneità sostanziale. È assente il
cielo, sono assenti i morti: perché mai dovrebbero comparire dei vivi
tra queste lapidi ormai vicine a confondersi con la terra dalla quale spuntano,
tracce di niente che non significano più nemmeno se stesse? Infatti nessuno si aggira tra questo pietrame inutile
e deserto, e nemmeno ci sono resti o indizi
di visite recenti. Come mai? Dove sono andati tutti? Forse passeggiano
in città, forse sono andati a salutare la primavera in periferia. È facile
immaginarli mentre camminano tranquilli in compagnia di famigliari o amici, che
parlano e respirano a pieni polmoni un’aria che a loro sembra buonissima, come
l’aria è di per sé: buonissima, sempre; alcuni discutono e scherzano, altri
muovono con spontaneità le gambe, da soli, in silenzio, o fischiettano tra sé,
la testa libera da pensieri.
Questa è la cartolina con l'immagine dell'antico cimitero ebraico che qualcuno aveva spedito al Bar dove ogni tanto andavo a giocare a scopa. Il raccontino è nato per averla guardata centinaia di volte , molti anni prima che potessi andare a Praga, e per la meraviglia che qualcuno degli avventori, cultori indefessi di formosità abbronzate e doppi sensi, avesse potuto spedirla proprio lì. Diciamo 25 anni fa almeno.
E questa è la foto della tomba di Kafka al nuovo cimitero ebraico, che mi ha scattato Lucio Klobas quando poi ci sono andato la prima volta, in gita scolastica, una quindicina di anni fa, in epoca pre euro di sicuro.
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