Da giovane ho dormito tante volte sotto
le stelle. Erano gli anni in cui si poteva ancora fare l’autostop o girare con
qualche macchinino, il sacco a pelo e la canadese, sopravvivendo con poco o
niente e fermandosi dove si voleva, in campeggio libero o semplicemente
gettando il sacco a pelo per terra senza nemmeno montare la tenda. In riva al
mare o al Danubio, sul Gargano o nella Foresta nera, tra le vigne del Reno o
gli uliveti della Puglia, in un campo di grano appena tagliato (giusto per
provare: altamente sconsigliabile), o ovunque ci fosse uno spazio aperto, con
la nuda terra sotto e l’universo sopra, per dirla con una canzone di Cat
Stevens, a guardar le stelle.
Il cielo notturno che ricordo con maggiore
vivezza è quello che ho visto sulla Sila, o comunque nella Calabria interna, nell’agosto
del 1969. Avevo diciott’anni e stavo girando il Sud Italia senza patente, solo
con il foglio rosa, con la mia Bianchina: un gruppo di amici e amiche con
tre-quattro utilitarie, decidendo soste e percorso man mano che ce ne veniva
l’estro, senza discutere (andava bene tutto: c’era tutto da scoprire; l’anno
dopo avremmo litigato quasi ogni giorno; poi non ci saremmo visti più: ma
proprio più, senza astio né rimpianti).
La sera prima ci eravamo fermati a
dormire in quello che poi si sarebbe rivelato il greto di un torrente in secca
in Lucania, poco accosto a una strada ampia, appena asfaltata, percorsa da
nessuno (tanto che potevamo lanciarci un pallone da un finestrino all’altro
stando in due auto una accanto all’altra anche sulla corsia opposta), che
correva parallela al litorale, ma non sapevamo quanto prossimo: lo avremmo scoperto il
mattino dopo, quando, appena svegli, qualcuno aveva attraversato un boschetto
vicino e si era ritrovato su una lunghissima spiaggia sulla quale, sembra
inventato, sarebbe passato solo un tizio a cavallo un’ora dopo e poi, fino alla
nostra partenza, più nessuno. Poi ci eravamo inoltrati tra i monti della
Lucania, fermandoci in un posto dove c’era una fonte di pietra alla quale ci
avrebbe poi raggiunto un contadino, il padrone del terreno, che si sarebbe
fermato a chiacchierare a lungo con noi, come con una specie aliena, offrendoci
della frutta; e infine ce n’eravamo andati verso la Calabria, sempre avanti,
fatto il pieno nel tardo pomeriggio, salendo tra strade di montagna senza
illuminazione, sperando di incontrare una trattoria o una pizzeria (sì,
pensavamo proprio a una pizzeria), senza trovarne nessuna, e anzi a un certo
punto senza incrociare più nemmeno un paesino, o un agglomerato di case,
qualche segno umano... e decidendo di fermarci in mezzo a quel deserto non
abbiamo mai saputo dove, su un prato curvo fuori da un bosco, qualcosa che ci
parve la cima spelacchiata di una collinetta, e di mangiare lì quello che
avevamo di scorta, scatolette, frutta, e forse, ma non lo posso giurare,
facendo la pastasciutta con un fornelletto da campo.
Qualcuno intanto montava le tende,
anche se la notte nonostante l’altezza era tiepida; poi, mentre si mangiava,
con attorno tutto quel buio e quel silenzio interrotto da qualche verso o
rumore ogni tanto, o fruscii e lamenti che sembravano ululati, di lupi, come
no?, qualcuno ha cominciato a raccontare storie di paura prese dai libri che
aveva letto o da qualche film, o abborracciate lì sul momento. E così abbiamo
continuato dopo cena, spente le pile, non ricordo se con qualche sigaretta
accesa ma direi di no, perché mi pare che nessuno di noi fumasse (possibile?),
fino a notte inoltrata, sdraiati sui sacchi a pelo fuori dalle tende, o
direttamente sull’erba, con tutto quel cielo infinito sopra e nient’altro.
Le ragazze fingevano di avere paura e
si stringevano al loro vicino, casuale o preventivamente scelto, con femminile sagacia; alcune forse
avevano paura davvero (erano un po’ sceme) e qualcun altro continuava a
raccontare, a inventare, spinto dalle reazioni degli ascoltatori, con accanto
nessuno. Finché tutto non è finito, alcuni sono entrati in tenda, altri si sono
inoltrati nel buio e qualcuno è rimasto lì a guardare le ombre nere degli
alberi e delle montagne attorno, e tutte quelle stelle, tantissime, come
raramente ne avrebbe viste poi nella sua vita, lontanissime e vicinissime, che
sembravano davvero pioverti addosso, avvolgerti con la loro luce, come a
trasfigurarti nel buio, incantevoli, meravigliose, come le stelle sono sempre, anche quando sono nascoste, invisibili, ritratte nel loro pudore, che a noi spesso manca.
(Colonna sonora di quel periodo, con qualche apporto
successivo)
Jefferson
Starship - Have you seen the stars
tonight
https://www.youtube.com/watch?v=WaRlmClmEy8
Pink Floyd - Interstellar overdrive
https://www.youtube.com/watch?v=4o2sA0vpA-4
Rolling Stones
- 2000 Light Years From Home
https://www.youtube.com/watch?v=U6o2ZpHZWos
Cat Stevens - The boy with the moon and star on his head
https://www.youtube.com/watch?v=Bdua9Vj1LZA
Paul Simon - The boy in the bubble https://www.youtube.com/watch?v=Uy5T6s25XK4
Neil Young – Natural beauty
https://www.youtube.com/watch?v=-Y1IF8A9XN4
Van Morrison – In the garden
https://www.youtube.com/watch?v=Ku5gd8Gv3Bs
Nick Drake – Pink moon
https://www.youtube.com/watch?v=aXnfhnCoOyo
Pierre Akendengue – Silence
https://www.youtube.com/watch?v=32RU0TTIH5s
Alexi Murdoch – Crinian
wood
https://www.youtube.com/watch?v=FAYJc0zSTtE
L’esperienza dell’immensità inimmaginabile dell’universo
stordisce, la percezione che la trasmette, il cielo stellato sopra di noi,
incanta, disorienta e appaga. La terra sotto di noi, la natura, impaura e rasserena.
Nessuna sensazione è pura. Le proviamo insieme. Tutto ci avvolge e accoglie. Ci
piomba addosso e ci protegge. Ci mostra il nostro niente e che questo niente è
nel tutto, è tutto. È questa la loro forza.
Raramente si capisce, ma quasi sempre, se si presta
attenzione, se si libera la testa, se si guarda e basta, si avverte. Senza
dubbio alcuno. È l’evidenza stessa.
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