Verso
sera il vento, sfiatato, cade. Gli alberi tornano a fissarsi nei loro ruoli
abituali, stigmatizzati ormai, però, da un'inquietudine definitiva che faticano
a dominare. Una luce inconcludente si avvicina alle cose ma ne viene respinta
con stizza. La gente, poca, cammina piano, assonnata; un cavallo dalle incerte
risorse pencola la testa: non che disapprovi, semplicemente non è del tutto
convinto e lo dimostra con pacato scetticismo. Una macchina che procedeva a
moderata velocità, d'un tratto sbanda vistosamente nel lodevole intento di
suscitare attenzione; poi, forse pentita dell'eccessiva pretesa, si schianta
quietamente contro un muro, senza far rumore, come esercitandosi nel vuoto. Un
uomo sulla quarantina ne esce a fatica e verifica le proprie condizioni in una
vetrina lì accanto, prostrato dalla vergogna: dall'altra parte un cane egizio
lo guarda con ostentata indifferenza, assestando il colpo decisivo alla sua
identità. Una ragazza apre una finestra ma si volge altrove, verso una
piazzetta dove tre figure sono sedute sullo schienale di cemento di una
panchina. L'uomo distoglie lo sguardo dal vetro e lo dirige alla macchina,
quindi al cielo. Il tessuto dell'aria si sfibra saturando lentamente la
trasparenza, senza però rivelarsi un fondale che riveli dell'altro quando cade.
La strada si ripiega sul suo margine interno e lo spazio si contrae, diventa
solido, inattraversabile. Miracoli clandestini si consumano inutilmente.
La foto è di Gabriele Basilico.
La foto è di Gabriele Basilico.
una serie di quadri
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