Le
braccia allineate ai fianchi, le dita delle mani leggermente rattrappite e
quelle dei piedi leggermente formicolanti, la testa immobile sul collo teso
appena piegato all'indietro e le labbra sul punto di divaricarsi ma ancora che
si toccano, sta in piedi rigido davanti al cadavere, in perfetta mimesi
complementare: impossibile fare meglio. La direzione dello sguardo, dagli occhi
socchiusi, sembra protendersi verso la parete dove, disegnata con scrupolosa
precisione, la linea grigia dell'intonaco lavabile incontra quella bianca del
soffitto, due centimetri sotto lo spigolo, a smorzarne le peraltro trascurabili
irregolarità. Poco discosto, sulla parete accanto, la cassa sporgente
dell'avvolgibile proietta, più pronunciata lungo l'ascissa, un'ombra sfumata, come
dello sporco, che raggiunge la massima curvatura sotto il vertice, dove un
ragnetto diafano, proveniente dal parato viola scandito da ricami e da nappe
d'argento che costeggia i muri, sta iniziando il suo diverso rito. Comunque non
lo vede, o se lo vede, si rifiuta di seguirlo, sempre più immobile. L'assenza
di altre persone nella stanza si direbbe accentui lo sforzo di compostezza e la
corrispondente vacuità di pensiero: appunto ciò che cercava. Al suo arrivo
nessuno gli è venuto incontro né gli ha rivolto un'occhiata di riconoscimento o
di sorpresa, e tanto meno un saluto o una domanda: ha sì intravisto da una
porta laterale due donne e un uomo sussurrare attorno a un tavolo in un salotto
imprecisato, ma là sono rimasti e continuano a rimanere anche ora, in silenzio,
senza far mostra di averlo visto o di volerlo raggiungere, come se lui fosse
invisibile. Né lui fa qualcosa perché lo notino, come se diventare invisibile,
anche a se stesso, fosse, più che un semplice corollario, la meta, e il premio,
della sua rigida immobilità. Non guarda la linea grigia né la curva d'ombra, né
il ragno né il morto, che del resto nemmeno conosce. Sente, per ogni vena, il
formicolio del sangue disarginato che dai piedi si diffonde in tutto il corpo,
e anche questo lo distoglie dal tentare qualsiasi movimento; sente i capelli
piegarsi al contatto della camicia: li sente uno per uno, fino alla radice,
dentro la cute. Respira soltanto, lieve, nell'accostamento al proprio pleroma.
Fra un istante, quando come è venuto se ne andrà, al suo passaggio le fiamme
delle candele si piegheranno impercettibilmente verso la porta che, aperta,
aveva interrotto la sua passeggiata, e i suoi passi sull'ammattonato lucido di
cera rossa ripeteranno gli stessi liquidi scricchiolii dell'ingresso, gli
stessi appena un po' smorzati.
Tela e disegno sono di Francesco Lauretta, che ringrazio molto. (Ciao Cccio!)
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