Come
quando non si ha voglia di scambiare parole o anche solo rapidissimi guardi, ma
nemmeno di essere maleducati o spocchiosi, o con quel minimo di altezzosità che
comunque affiora se si finge di ignorare persino qualcuno che ignoto lo è
davvero, pur non essendolo già più nel momento in cui ti viene incontro e lo
incroci… e non vuoi non per scontrosità o tristezza o per qualche forma di
concentrazione, vera o presunta, o selvatichezza, bensì solo perché ti sta
bene, stai bene, così, senza interferenze, e allora, in assenza di luoghi del
tutto solitari, deserti o monti o foreste, trasformi quelli che hai a
disposizione in un loro surrogato, scegliendo i meno frequentati, secondo la
tua esperienza, ma lo stesso poi, se qualcuno ti fa un cenno, sorridi, se ti
dice una parola, rispondi.
Ma c’è
anche chi se ne va a capo chino, immerso nella sua pena, refrattario a tutto e
a tutti, che non guarda e non saluta più nemmeno chi conosce da lungo tempo,
trasportato solo dal ritmo regolare dei passi e da quello sommesso del respiro,
con il corpo rigido, la testa inastata sul collo a quarantacinque gradi, con
rari piccoli sussulti laterali, quasi accenni subito rientrati di negazione, come
questa signora signora che percorre tutte le mattine, in una specie di circuito
memoriale innescato e portato a termine dal corpo in totale autonomia, le
stesse strade che percorreva fino a poco fa assieme al marito, o piuttosto a
volte qualche metro avanti e altre poco indietro, perché lui faceva corsette,
esercizi di stretching o di respirazione, piccoli tratti comminando a ritroso,
con la sua fascetta sulla fronte e, dopo l’ultima operazione, una vistosa
ginocchiera, lui allegro, che salutava sempre tutti, lei dal portamento sempre controllato, elegante, seria, ma serena, con
una piccola luce negli occhi che ora non c’è più.
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