La figurina di profilo della
“Madonna Rolin” di Van Eyck porta una specie di turbante rosso, come altre
dello stesso pittore (in particolare uno dei due “testimoni” nello specchio degli
“Arnolfini”, la figurina riflessa nella corazza di San Giorgio nella “Madonna
Van Der Paele” e soprattutto nel “Ritratto dell’uomo con il turbante rosso”) in
cui qualcuno ha voluto vedere un autoritratto del grande artista.
Se così fosse, vien da fare
una piccola riflessione prendendo a confronto il “San Luca che dipinge la
Madonna” di Rogier van der Weyden, lasciando perdere gli altri suoi presunti
autoritratti. I quadri come è noto hanno molte cose simili, citazione omaggio o
ripresa agonistica che sia il secondo.
Van Eyck nella figurina della
“Madonna Rolin” che parla con la figura di schiena accanto a lei, lascia un
segno indecidibile quanto all’identificazione. E’ al centro del quadro, ma
sullo sfondo, intento ad altro rispetto alla scena principale, che osserva
l’omino che guarda giù dagli spalti forse chiedendogli cosa c’è di così
speciale da aver attratto la sua curiosità. Ha il bastone del pellegrino (o
della persona anziana), ma il vestito è abbastanza lussuoso, ampio, di velluto
si direbbe, con un bordo di pelliccia, e il copricapo modaiolo così abbondante
che basterebbe a confezionare un abitino a una ragazzina. Non guarda quello che
guarda l’altro, è appena arrivato, o lo accompagnava da prima, e forse ha un
breve dialogo con lui che una volta ho persino immaginato (vedi appendice). E’
un passeggiatore svagato con cui mi è facile identificarmi, curioso ma non
troppo, che poi proseguirà seguendo i suoi pensieri, fermandosi ogni tanto a
osservare qualcosa, ma lasciando la visione, quella “vera”, al cancelliere (nel
quadro) e allo spettatore (del quadro).
Van der Weyden invece si
mette in primo piano nelle vesti di San Luca, patrono dei pittori che gli hanno
intitolato la loro gilda, mascherato e insieme rivelato dalla veste e dalla
convenzione iconografica, che del resto egli contribuisce a fondare o ad
affermare, almeno in questa forma, artefice alla e della presenza del divino.
La conferma dell’identificazione, caso mai ce ne fosse bisogno, viene da altri
ritratti che si possono rinvenire in altre opere, miniature e arazzi che gli
studiosi hanno identificato e confrontato e verificato con gli opportuni
documenti nel tempo.
E’ bastato poco perché
l’autore, entrato di soppiatto nel quadro, balzasse alla ribalta e oscurasse (o
meglio: subordinasse), il resto alla sua arte, la sua di lui esibita nel suo
farsi, o meglio ancora rappresentata, recitata, nell’idealità di un fare
nobilitato, da cui ogni traccia dell’effettiva materialità del lavoro (veste
sporca di pittura, disordine dello studio, apprendisti che macinano colori...)
è stata eliminata, persino nel ricordo, anche se il ritrarre prende l’apparenza
del gesto devoto, della preghiera addirittura, e certo devoto lo è per davvero.
Le due figurine sugli spalti
richiamano ovviamente quelle di Van Eyck, ma con significativi cambiamenti.
Quelle del San Luca, sono più grandi. Prima di tutto sono un uomo e una donna. Di
schiena è la donna, che si inclina un po’ alla sua destra a guardare ciò che
con gesto esplicito le sta mostrando (a lei come allo spettatore del quadro, forse
con lo stesso dialogo che ho immaginato per Van Eyck), l’uomo, che porta un
cappello morbido di panno o pelliccia, da cui spunta, sulle spalle, un panno
rosso che si prolunga come una coda fin quasi a terra, come se il turbante del
suo corrispettivo vaneyckiano fosse stato sciolto e usato come scialle, o
sciarpa, o ornamento vezzoso. Una citazione esplicita del colore comunque del
turbante, e una ripresa di quello dell’abito di San Luca. Una specie di
parentela, di doppio di quest’ultimo, che in tal modo si appropria anche di
questo aspetto della visione, quasi a tenere tutto sotto controllo, dalla
Vergine davanti a lui, come figura reale più che immaginata o ricevuta in
visione, a dispetto dell’ovvia sfasatura temporale che certamente anche il
pittore aveva presente, a ogni aspetto della realtà, la sala magnifica
dell’ambientazione, i fiori ai piedi delle figurine, la città sulla sinistra,
con altre figurine intente a gesti quotidiani anche non propriamente dignitosi
(come quella che sembra urinare contro un muro), alla chiesa o palazzo con la
cinta muraria e al paesaggio sulla destra, fino alla superficie spumosa del
fiume sulla quale trova spazio, e si direbbe il suo ritratto, ogni singola
onda, ciò che c’è di più labile e fuggitivo. Perché, come dirà due secoli dopo
Francisco de Quevedo, “solamente lo fugitivo permanece y dura” e anche questo
sta al pittore prestare attenzione e dipingere. Forse soprattutto questo.
Appendice (facoltativa)
A (uomo di profilo): Cosa
stai sempre a guardare giù nel fiume?
B (figura di schiena): Non
so, mi piace l’acqua che scorre, i riflessi delle cose e i giochi della luce...
e poi ogni tanto passa qualcosa di interessante...
A: Vedi qualcosa adesso?
B: Sì, adesso sta sbucando un
oggetto rettangolare; un libro, mi sembra...
A: Sicuro che non sia una
delle solite schifezze che provengono dalle cucine o dalle fogne del palazzo?
B: No, è proprio un libro. Mi
sembra addirittura di distinguerne la copertina.
A: Che occhio di falco!
B: In un quadro come questo,
l’occhio di falco è il requisito minimo…
A: E come sarebbe ‘sta
copertina?
B: Aspetta... c’è
un’immagine… Ma quelli siamo noi due!
A: Noi due!
B: Distinguo tutto
perfettamente, come in una visione: riesco a leggere anche il titolo.
A: Sì, figuriamoci… E quale
sarebbe?
B: Figura di schiena.
L’autore è un certo Luigi Grazioli.
A: Mai sentito nominare.
Sicuro che non mi stai prendendo in giro?
B: Anche per me è un perfetto
sconosciuto. Se mi aspetti, corro a riva per cercare di recuperarlo.
A: Dev’essere molto leggero
se sta ancora a galla...
B: ...o forse lo hanno appena
gettato da quella finestra del Cancelliere...
(Di
sopra, l’occhio bovino dell’uomo in tenuta da cerimonia fissa la bella donna
elegantemente vestita col bambino in braccio, ma chissà se la vede davvero…)
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