Vedo per strada, su un viale di Barcellona (cercare il nome esatto), una donnetta vestita di nero, curva in avanti, piegata quasi a 90 gradi, come spezzata. Se posso immaginare cosa sta facendo (chiedere la carità – avevo scritto la verità –; offrirsi di leggere la mano; inscenare un’azione teatrale; ammonire sulla fine del mondo prossima ventura; passeggiare faticosamente; bearsi di un travestimento che la porterà non riconosciuta a un incontro segreto, magari galante; cercare una moneta che le è caduta per terra, leggere una scritta sul marciapiede o un foglio pubblicitario che tiene fermo con la scarpina di cristallo nascosta sotto la lunga gonna, cercare di vincere un conato di vomito...), fatico invece a immaginare i tratti del suo volto. Ad ogni ipotesi di azione alcuni stereotipi mi vengono in soccorso, immediato quanto indesiderato (non mi facevo così banale); ma non voglio, ora, il sollievo di una verifica reale, quindi meno ancora potrei accontentarmi di un disegno immaginato. È probabile che sia una vecchia malandata, ma se avesse dei tratti bellissimi? Se gli occhi fossero luminosi, sereni, privi di dolore?
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