Non appena si sparse la voce che due dei più accaniti e noiosi fankafkisti del pianeta (io e il mio amico Lucio, ma lui più di me) erano giunti per la prima volta a Praga, le autorità cittadine convocarono con urgenza un consiglio comunale, alla presenza del prefetto e del capo delle milizie urbane, per correre ai ripari, nel tentativo di limitare i danni che gli sciagurati avrebbero potuto combinare con le loro chiacchiere appestanti e i loro imprevedibili movimenti sulle tracce vere e presunte del grande scrittore, perseguite in modo certamente scomposto e rumoroso, come la loro nomea lasciava presagire. Fermo restando che bloccarli, arrestarli o espellerli avrebbe creato problemi diplomatici e riflessi nocivi sul flusso turistico che il grande scrittore aveva innescato a sua insaputa (ne sarebbe morto ancora prima del tempo) e che al momento costituiva una delle entrate più cospicue della traballante economia locale, si trattava di allestire qualche stratagemma per distrarli, spostare i loro interessi verso altre fonti di attrazione e contenere la loro nocività a livelli minimi e scarsamente attinenti alle ragioni della loro venuta, rinviata da tanti anni da essere ormai improcrastinabile. Oltre a fankafkisti conclamati, i due, ormai uomini di mezza età già instradati verso la terza, erano anche innocui morti di fame proclivi al commento estetico e a prolungate e maliziose, quando non acide, considerazioni sull’essenza del genere umano, in particolare femminile, ragion per cui le autorità non trovarono niente di meglio, con una mossa che avrebbe giovato anche al turismo non letterario, di convocare nella grande sala del castello cittadino tutte le belle ragazze e giovani signore della città e del circondario, per poi dislocarle strategicamente, come se nulla fosse, lungo i viali, le strade, le piazze e le stradine più legate al pellegrinaggio lungo l’infinita e labirintica via crucis legata all’autore della “Tana”, e ai crocicchi più frequentati nonché a certe stazioni nodali della metropolitana o nei pressi di musei e di note birrerie, e poi succedesse quello che poteva succedere, o anche no (meglio). I due infatti, dopo un breve periodo sconfortante, quantomeno per le autorità che sorvegliavano discretamente da lungi, in cui avevano proseguito, impavidi, a strologare sul più e sul meno, e praticamente su tutto, chiusi nella bolla della loro mitologia, cominciarono pian piano a notare con la coda dell’occhio qualche bellissima giovane ai tavolini dei bar, o alle fermate dei bus; altre si accorsero di incrociarne sui marciapiedi, o nei negozi, oltre le vetrine, commesse o clienti che fossero, e altre ancora che venivano a bere un caffè o a comprare dei dolci nei bar e nelle pasticcerie dove ogni tanto facevano una sosta loro, o alle biglietterie dei luoghi di interesse storico e culturale, o nelle librerie dove, anche se non capivano un’acca del ceco e del tedesco, non resistevano a entrare per sfogliare libri e almanacchi manco a dirli tutti dedicati a Kafka, con qualche eccezione per altri scrittori praghesi, Meyrink, Kubin, Holan, Hrabal, Kundera, Havel, Hašek, Orten ecc, come santini di altari laterali. Per modo che i due cominciarono a porsi domande sulla genetica cecoslovacca (la nazione non si era ancora divisa) e slava in genere e sulle peculiarità individuali dei fenotipi incrociati con crescente, disinteressata, eidetica ammirazione. Una così alta concentrazione di belle signore e signorine, dalle figure snelle e slanciate, perfette nelle forme e nei lineamenti, con quel pizzico di esotico che non guasta mai, gli occhi chiari o scurissimi, tutti splendidi, la pelle di seta o porcellana ecc. (ognuno può aggiungere i suoi stereotipi preferiti), li lasciava esterrefatti, e per un po’, imprevedibilmente, senza parole. O forse erano loro, di formazione modernista con simpatie avanguardiste, che per non indulgere a stereotipi turistico latini (ma anche slavi e centroeuropei, avendo Lucio sangue sloveno e ungherese in circolo nel suo sistema arterioso), si limitavano, all’inizio, a esternazioni di breve durata, per lo più esclamazioni di stupore, brevi fasi incompiute ma creative (di meno non avrebbero potuto accontentarsi), e ad affondi retorici, di fatto, di minino spessore, o volume; ma con il passare del tempo e il ripresentarsi delle felici, per non dire numinose, apparizioni, le parole cercavano percorsi più elaborati e soddisfacenti dal punto di vista narrativo e socio-biologico, per lasciare, alla fine di ogni segmento relativamente autonomo delimitato dal rinvenimento di reliquie o memorie di questo o quel racconto o diario o lettera, di nuovo spazio a silenzi stuporosi e soffusi di una lieve patina di felicità che nel frattempo si era venuta a sovrapporre ai loro lineamenti in qualche modo pacificati, come quelli che assumono i morti, quelli trapassati in modo non violento quantomeno. Poi, alla ripresa dopo il pranzo, il riposo in albergo, la visita al museo o alla sinagoga o al cimitero, ripartiva il pellegrinaggio con le sue litanie ammorbanti, le divagazioni più acrobatiche e gli arresti improvvisi in mezzo al traffico dei ponti o sui binari dei tram, o sulle strisce pedonali, dove perlomeno in un incidente avrebbero avuto la legge dalla loro. La legge! A Praga.
Le considerazioni però erano più vacue e fumose del solito, come disturbate da retropensieri strani, pressanti quanto indefiniti, senza oggetto, o con oggetti abbaglianti ma sempre in via di svanire. E quando si rendevano conto di quali fossero questi fattori di disturbo e si guardavano attorno per focalizzarli e poi chissà che altro, non c’era più niente e nessuno, come fate morgane dissolte tra i fumi del fiume o sull’umidità degli acciottolati, messaggi inviati da qualche emissario superno che si erano persi per strada ma sarebbero certamente arrivati prima o poi. Poi però, prima, arrivava sera, e i due, dopo una cena consumata in qualche locale sempre sbagliato e un’ultima sosta in un bar per un caffè (io) o un whisky (Lucio), stremati per quanto avevano cercato e non trovato, visto senza averlo cercato, trovato senza averlo afferrato, se ne andavano ciascuno nella propria stanza a dormire o leggere, o a prendere appunti che non avrebbero usato, a rincorrere parole che sul momento si erano sottratte, a tracciare percorsi che non avrebbero seguito, né il giorno dopo né mai.
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