C’è questa curiosa genìa, numerosissima e in ulteriore crescita, di cripto suicidi, o quantomeno di pervicaci masochisti, mortificatori di ogni intelligenza, poca o tanta, ricevuta in dono alla nascita e poi coltivata a colpi di ambizioni malriposte, debolezze e fragilità progressive, immedicabili, nell’orizzonte della delusione sistematica, o tutt’al più di una sottoccupazione indefinita, e comunque mediocre nel raro caso che dopo lungo patire diventi stabile, molto al di sotto delle più modeste aspettative del più scarso tra i medici e gli ingegneri per esempio, che sono i borsisti e i ricercatori, massime nelle materie cosiddette umanistiche, che sono la spazzatura del moderno sapere, il refugium peccatorum degli sprovvisti di qualità, o di palle. Un mondo vero e proprio, ormai, nell’università di massa subordinata al mercato, che è quasi sempre quantitativa, e quindi vincolata al numero e alla susseguente mediocrità, ma che proprio per questo chiama moltissimi per poi chiudere la porta in faccia ai più. Chi non ha conosciuto, al di là delle centinaia di laureati disoccupati o adattatisi ai lavori più improbabili e meno gratificanti da ogni punto di vista (e non solo per mancanza di capacità e iniziative, come se tutti potessero inventarsi un lavoro o qualche stracazzo di start up), almeno una dozzina di borsisti (attuali, ex o aspiranti tali), spesso alla ricerca di uno straccio di argomento da studiare, magari marginalissimo, ancora poco sfruttato o utile solo a risparmiare un po’ di lavoro al titolare della cattedra, di interesse e importanza minimi, di sicuro non personale però.
Non c’è un solo cenno agli argomenti di studio o di insegnamento. Niente che faccia pensare a qualcosa che rivesta una parvenza di importanza per chi li studia o ne scrive: sempre qualcosa di avulso dai bisogni o dalle forze della loro vita, quando non addirittura in esplicito e feroce contrasto. Coltivatori del nulla che nulla producono. O dell’indifferente, che è poi lo stesso per chi lo coltiva e per chi dovrebbe consumarlo, a meno che non sia lui stesso un nullofago inveterato, un consumatore abituale di vuoto, che se non altro, essendo scarsamente calorico, non ingrassa.
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Un lungo corteo di infelicità
Amicizie, o momentanei avvicinamenti, basati su complicità e bisogni momentanei e rivalità a ogni livello: concorsi, bellezza, sesso, immagine; legàmi di altra natura, nessuno.
L’incompiutezza di tutto e di tutti, come lo è quella degli eterni aspiranti, dei ricercatori a cui l’oggetto di ricerca importa solo come strumento di possibile ascesa, come titolo. Dottorandi, gente incompiuta, che sta per, che va verso, e non è. Uno sperpero di intelligenza, poca o tanta
L’inestinguibile cicaleccio giovanile accademico, infiorettato di gerghi locali o di salotto o solo di coppia, riprodotto nel lessico e nello stile (non si sa quanto volutamente), perché tutto poi in fondo si amalgama nel tutt’uno del brusio informe e vuoto. Un tripudio di intelligenze medie, e però presuntuose, ciascuna convinta di capire tutto o quasi e nient’affatto riluttante a giudicare, legittimata dal titolo o dal ruolo. La massa del personale docente dell’università di massa (accoliti, tirocinanti e aspiranti inclusi), dove il livello di tutti è crollato, piùchemediocrizzato: tutto, anche quello dei docenti, quanto meno nella percezione che hanno di se stessi; o anche il loro, esclusi i compari e i sodali presenti finché lo sono (presenti nel faccia a faccia, dico).
Il rifiuto dell’accademico visto come il pericolo maggiore (come impostazioni e ambizioni di scrittura e di pensiero: non come titolo, ovviamente, che quello anzi è il vanto per chi lo è e l’aspirazione o l’invidia per gli altri). Aspirano tutti a essere scrittori, narratori, saggisti: tutto tranne che accademici. Ma studiosi seri, sì, certo: onniscienti, nel loro territorio piccolo o grande che sia, con incursioni di infallibilità anche fuori: nel giudizio, se non nelle competenze.
Invidie, malvagità, meschinerie: dinamiche che si ritrovano, identiche, in ogni sottoscala, in ogni tana; anche se poi attribuirgli una valenza più ampia, non si dice universale, è piuttosto difficile. L’ambizione c’è, comunque.
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