Mentre passeggiavo per il quartiere dopo cena, ho visto due cespugli di rose sporgere da una recinzione. Con il gesto automatico che di solito riservo alle foglie, ho staccato alcuni petali e li ho accarezzati con i polpastrelli. L'aria era asciutta, i polpastrelli sensibili, i petali lisci e morbidi, freschi. Erano sottili ma resistenti allo sfregamento: si incurvavano senza rompersi né restare piegati, elastici. Molto piacevole. Nell'eseguire queste losche operazioni, sono passato davanti a un glicine con alcuni grappoli residui nascosti tra le foglie: mi è venuta voglia di fare un confronto e ho strappato qualche petalo anche da esso. Non c'era molta differenza con le rose, a parte che i petali erano più piccoli e un po' più sottili, e quindi meno adatti alla palpazione delle mie dita grossolane. Li ho annusati senza sentire niente; ho ripetuto l'operazione con i petali di rosa che avevo conservato nella sinistra, con l'identico risultato. Forse ne avevo abusato al tatto, li avevo strizzati e spremuti troppo e non era rimasto nulla per l'olfatto. Senza gettarli, ho annusato i polpastrelli: mi è parso di sentire qualcosa, ma forse era solo suggestione, effetto della voglia di sentire. Al successivo cespuglio ho strappato qualche nuovo petalo, e prima di sciuparlo l'ho annusato: risultati scarsi. Forse i petali non sono profumati, o lo sono solo quelli vicini ai pistilli e agli stami che ne vengono un po' impregnati, mentre quelli periferici non godono di questo beneficio, o lo perdono subito: meno protetti, disperdono i residui di profumo per la continua aggressione dell’aria. O forse è solo generosità. La periferia è sempre la prima a subire gli effetti negativi e l'ultima a godere di quelli positivi. (Ma non sempre. Mi sa che in qualche modo, da qualche parte e da qualche tempo, qualcosa è già cambiato. Alla fine del medioevo il cambiamento è partito da lì. Per dire...) Poi non ho più incontrato rose per un po', ma in compenso mi sono dedicato a tutti i cespugli e le piante che sporgevano sul marciapiede, perché ormai mi aveva preso la smania della collezione e del confronto. In cuffia avevo una musica soffice, come i petali, e la testa, una volta tanto, era leggera come loro, o forse per merito loro. E' lo stesso. Ho incontrato oleandri (quelli che ho preferito alla fine, insieme alle rose); ortensie, dai petali leggermente rugosi ma troppo piccoli per un giudizio ponderato (allora li ho strappati a manciate e li ho palpati, e giudicati, all’ingrosso); gelsomini: ingiudicabili perché troppo piccoli ma i preferiti per il profumo; margherite giganti, di morbida seta, con rugosità delicate, quasi impercettibili al tatto; campanule (convolvoli) di vario tipo: viola, lisce all'interno ma venate fuori; e arancioni, dai petali rugosi ma carnosi, morbidi. Poiché ero uscito senza biro e taccuino, mi sono messo i petali nel taschino, poi ho strappato fiori interi, per ricordarmi.
Li ho tenuti tra le dita fino a casa con la delicatezza e l'impaccio di un neopapà. Qui li ho mostrati a Angela, chiedendole se sapeva il loro nome. Lei li ha guardati, e senza rispondermi li ha subito disposti in un portauovo e me l'ha messo sul tavolo, accanto al pc.
Opera di Amedeo Martegani, primi anni '90. Sul muro di casa mia
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