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Ho una piccola confessione da fare. Amo un albero. In realtà sono due. Due
pioppi che crescendo hanno fuso i tronchi tanto da essere ormai un unico grande
albero un po' divaricato, con una sola, imponente chioma. Sta in fondo al prato
accanto a casa mia, davanti alla cascina con il bar di cui ho parlato in un
racconto. Ogni volta che esco lo vedo sullo sfondo e ogni volta sono felice di
vederlo. Anche se prendo la direzione opposta, sapere che è lì è una delle
consolazioni della mia vita. Quando faccio il giro dell'isolato, me lo trovo di
fronte, inquadrato da due pinetti in fondo alla via come guardie
d'onore.
Quando torno a casa lo vedo da lontano e resta nella visuale fino all'ultima
curva. Se esco a fumare, resto lì a fissarlo, a parlarci insieme. Gli ho fatto
molte foto nel tempo, come a uno di famiglia. Un fratello. Un padre. Un figlio
no. Non per fare delle belle foto. Perché lo amo.
Il giorno dopo aver terminato
la divagazione sul viaggetto a Reggio, nella quale tra l'altro parlavo proprio
degli alberi, lo hanno tagliato. Sono uscito di casa e non l'ho visto. Al suo
posto c'erano un camion e un'escavatrice. E operai e due o tre che stavano a
guardare come se niente fosse. Il cuore ha preso a battere di corsa. Ho fermato
l'auto. Volevo scendere, ma avevo una cosa urgente da fare. Ho scattato due
foto alla scena e sono ripartito. Un'ora dopo, al ritorno, ho parcheggiato
davanti casa e mi sono precipitato a vedere. Il camion era sparito. C'era solo
l'escavatrice che aveva già riempito l'enorme buca delle radici.
Due uomini
stavano lì a controllare il lavoro. Il padrone del terreno e un mio vicino. Ho
fatto delle foto al prato e allo spazio ormai vuoto davanti alla cascina. Poi
mi sono avvicinato e ho fotografato la terra che ha riempito la buca, il suo
perimetro. Per farlo sono entrato nel prato, con i due che mi osservavano con
sospetto, anche se mi conoscono bene. Ho chiesto come mai. Il mio vicino, che
non c'entra niente, a meno che abbia rilevato la legna, ha detto che era tutto
marcio. Poi il padrone del terreno ha parlato della pericolosità dell'albero
per i fili della luce. Ha detto che tempo fa hanno già speso 6000 euro per
farlo potare un po', che l'Enel non voleva assumersene il carico, che rischiava
di crollare. A me sembrava sanissimo. Le foglie bellissime, il tronco,
all'esterno, perfetto, i rami robusti e senza segni di malattia. Era dentro,
hanno detto, e sotto. Le radici erano tutto un verminaio. L'interno del tronco
poltiglia. Sarà. Poi ho sentito altre versioni. Che il padrone temeva che il
pezzo di terreno fosse espropriato proprio a causa dell'albero. Che l'aveva già
venduto. Che ci avrebbe rimesso trecento metri quadri. Trecento. Come i soldati
di Salamina. Ho pensato che il verminaio era dentro di loro. Che erano loro. La
buca che non c'è più l'ho dentro io invece, e ci sono sprofondato. Era lì da
sempre, il mio albero, già grande trentatré anni fa, quando mi sono sposato e sono
venuto a abitare qui. Non avevo dubbi che mi sarebbe sopravvissuto, che sarei
andato a sedermi alla sua ombra anche da vecchio e poi magari a girovagare tra
i suoi rami da morto. Appollaiato a guardarmi attorno, nascosto tra le foglie.
Continuando a parlarci del più e del meno, come fanno i morti. Dovrò cercare un
altro rifugio. Se qualcuno ne resta. Amen.
Anche dalle mie parti di tanto in tanto scompare qualche albero. Un giorno passi e c'è. Quello appresso anche.Quello dopo no. E vieni a sapere che è stato tagliato sempre senza addurre motivazioni plausibili. Uno dice è malato. Un'altra è secco. L'altro ancora è marcio. Poi vieni a sapere che "toglieva l'aria" a quelli del secondo piano. Oppure "toglieva la luce" alle vetrine. Genericamente "portava umidità". Io non lo capisco.
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