13/01/14

L'assassinio del mio albero gemello



...  Ho una piccola confessione da fare. Amo un albero. In realtà sono due. Due pioppi che crescendo hanno fuso i tronchi tanto da essere ormai un unico grande albero un po' divaricato, con una sola, imponente chioma. Sta in fondo al prato accanto a casa mia, davanti alla cascina con il bar di cui ho parlato in un racconto. Ogni volta che esco lo vedo sullo sfondo e ogni volta sono felice di vederlo. Anche se prendo la direzione opposta, sapere che è lì è una delle consolazioni della mia vita. Quando faccio il giro dell'isolato, me lo trovo di fronte, inquadrato da due pinetti in fondo alla via come guardie

d'onore. Quando torno a casa lo vedo da lontano e resta nella visuale fino all'ultima curva. Se esco a fumare, resto lì a fissarlo, a parlarci insieme. Gli ho fatto molte foto nel tempo, come a uno di famiglia. Un fratello. Un padre. Un figlio no. Non per fare delle belle foto. Perché lo amo. 

Il giorno dopo aver terminato la divagazione sul viaggetto a Reggio, nella quale tra l'altro parlavo proprio degli alberi, lo hanno tagliato. Sono uscito di casa e non l'ho visto. Al suo posto c'erano un camion e un'escavatrice. E operai e due o tre che stavano a guardare come se niente fosse. Il cuore ha preso a battere di corsa. Ho fermato l'auto. Volevo scendere, ma avevo una cosa urgente da fare. Ho scattato due foto alla scena e sono ripartito. Un'ora dopo, al ritorno, ho parcheggiato davanti casa e mi sono precipitato a vedere. Il camion era sparito. C'era solo l'escavatrice che aveva già riempito l'enorme buca delle radici. 
Due uomini stavano lì a controllare il lavoro. Il padrone del terreno e un mio vicino. Ho fatto delle foto al prato e allo spazio ormai vuoto davanti alla cascina. Poi mi sono avvicinato e ho fotografato la terra che ha riempito la buca, il suo perimetro. Per farlo sono entrato nel prato, con i due che mi osservavano con sospetto, anche se mi conoscono bene. Ho chiesto come mai. Il mio vicino, che non c'entra niente, a meno che abbia rilevato la legna, ha detto che era tutto marcio. Poi il padrone del terreno ha parlato della pericolosità dell'albero per i fili della luce. Ha detto che tempo fa hanno già speso 6000 euro per farlo potare un po', che l'Enel non voleva assumersene il carico, che rischiava di crollare. A me sembrava sanissimo. Le foglie bellissime, il tronco, all'esterno, perfetto, i rami robusti e senza segni di malattia. Era dentro, hanno detto, e sotto. Le radici erano tutto un verminaio. L'interno del tronco poltiglia. Sarà. Poi ho sentito altre versioni. Che il padrone temeva che il pezzo di terreno fosse espropriato proprio a causa dell'albero. Che l'aveva già venduto. Che ci avrebbe rimesso trecento metri quadri. Trecento. Come i soldati di Salamina. Ho pensato che il verminaio era dentro di loro. Che erano loro. La buca che non c'è più l'ho dentro io invece, e ci sono sprofondato. Era lì da sempre, il mio albero, già grande trentatré anni fa, quando mi sono sposato e sono venuto a abitare qui. Non avevo dubbi che mi sarebbe sopravvissuto, che sarei andato a sedermi alla sua ombra anche da vecchio e poi magari a girovagare tra i suoi rami da morto. Appollaiato a guardarmi attorno, nascosto tra le foglie. Continuando a parlarci del più e del meno, come fanno i morti. Dovrò cercare un altro rifugio. Se qualcuno ne resta. Amen.


1 commento:

  1. Anche dalle mie parti di tanto in tanto scompare qualche albero. Un giorno passi e c'è. Quello appresso anche.Quello dopo no. E vieni a sapere che è stato tagliato sempre senza addurre motivazioni plausibili. Uno dice è malato. Un'altra è secco. L'altro ancora è marcio. Poi vieni a sapere che "toglieva l'aria" a quelli del secondo piano. Oppure "toglieva la luce" alle vetrine. Genericamente "portava umidità". Io non lo capisco.

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