Caro Luigi, ti allego un commento al tuo delizioso libriccino. Volevo metterlo sul tuo blog, che ho scoperto pieno di cose che non ho ancora letto e che scaricherò senz'altro, ma non si apre al solito modo e poi volevo fare un commento generale sul tuo blog, un commento cumulativo per tutti i pezzi che fanno parte del tuo libriccino. Ci puoi pensare tu? Mettilo dove ti pare, ma ci tengo che sia sul tuo blog. Te lo allego. Quanto alle mie tagliatelle take it easy, ma non mi dimenticare. Dopo aver letto il tuo opuscolo, mi sono vegognato della mia seriosità: sono veramente un ossesso e certamente non è attuale una prosa ,alla Pascal o alla Cioran, sul modello del diario di lavoro, ma non demordo. ciao F
Ecco qui, sotto la foto che ci ha fatto Antonio Mottolese alla presentazione del lavoro grafico di Paola Lenarduzzi - molto bello! - : mi vergogno come un cane, ma bisogna ammettere che ogni tanto anche le menzogne amicali fanno bene...
Hello (halò, hoelø o come si dice in
svedese) Premio Nobel della stupidità, della modestia allocca, della
povertà di spirito (secondo la teoria cara ai filosofi il cui nome
comincia con la H), hello.
Non lo riceverai mai, perché per
prenderlo, un qualsiasi premio Nobel dico, bisogna fortissimamente
volerlo prendere, ma tu sei troppo stupido per aspirare, non dico a
quelle altezze, ma nemmeno a quei dieci centimetri che ti
permetterebbero di scuccare al di sopra dei fili d’erba palustre,
non so, magari per vedere qualcosa al di fuori, oltre la distesa
piatta in cui ti fa tanto bene nasconderti. Ma se io fossi uno dei 19
giurati vichinghi preposti alla bisogna, ti scoverei e mi batterei
come un leone (anche, ti confesso, per scaldare un po’ i muscoli in
quei rigori polari) perché il premio venisse assegnato a te,
abitante della sperduta bassa padana dalle parti dell’Adda, a te,
aderente alla tua terra come un lumacone dotato di antenne (o occhi
che siano), retrattili per timidezza e estraibili praticamente ad
libitum per curiosità.
Questo messaggio dell’Imperatore
(cioè il sottoscritto) è partito alla tua volta, ma tu come da
copione non l’aspetti: te ne stai sulla soglia del tuo guscio
protettivo a guardare la fucina vermiglia della notte, verso
occidente del Rosa, pensando alle solite cazzate da scrivere
sull’animalume fraterno. Poi, stufo, lemme lemme, secondo il tuo
costume di bavoso seminatore di scie più o meno dolciastre, t’avvii
verso l’altra parte del fiume, a te caro per l’umidore che
contraddistingue il suo abitat, attraversando il solito ponticello e
poi la statale Bergamo-Milano e gridando ai tuoi cari sepolti lì
vicino: tranquilli arrivo!
… e ciak: spiaccicato bidimensionale
sull’asfalto.
Addio premio Nobel della stupidità.
A parte gli scherzi, caro Luis, sai
quale è la prova decisiva ai miei occhi per la quale uno è un vero
artista? Il fatto che io cominci a vedere (deformazione
professionale), pensare, fantasticare, chiacchierare dentro me stesso
alla maniera di costui. Nella fattispecie, per parentesi tonde e
quadre, interruzioni continue, interiezioni, incisi, tangenti sempre
in agguato, allitterazioni (che cazzo vogliono dire?), un’infinità
di subordinate a un’unica principale, che si perde però nella
lontananza dall’inizio della frase, immersa nella marea delle
andate e ritorni prima di arrivare, faticosamente e ansimando, manco
a dirlo, al punto finale: ah, ci siamo!
Cosa ne esce? Un beato cazzo di niente,
come deve essere del resto: nessuna metafisica, nessun senso, se non
uno sgusciolamento fuori dal contesto, un nascondimento, non poi
tanto riuscito, del personaggio principale, che poi, in qualsiasi
storia (ma la parola è decisamente robo ante per roba come la tua)
tu decida di immergerti e immergerci, sei tu.
Che altro dire? Me lo sono proprio
goduto il tuo libricino natalizio, dall’inizio alla fine, anche se
molte delle “storie” le avevo già lette sul tuo blog. Ma è
proprio questo il bello: una conferma che la carta è ancora viva, un
più rispetto alla superficie a luce diretta: ha un margine bianco
per i propri pensieri, che poi sono le uniche cose che contano (non
son questi che vuoi suscitare?). Nella sequenza dei capitolini non ho
scoperto alcuna perdita di peso o intensità emotiva che dir si
voglia, non ci sono défaillances, cadute e tutto è stato scelto con
precisione e messo al suo posto a sottolineare un’estrema varietà
di situazioni e di temi. Sono serio, qui sono serio. Bravo e grazie.
federico
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