08/02/14

Escritores Portugueses I e II (e altro - Cimitero di Lisbona)



E sono andato, come al solito se appena ne ho il tempo, al cimitero. E senza cercarla, mi sono imbattuto nella tomba collettiva degli scrittori portoghesi, tutti lì assieme nello stesso posto affacciato sullo spiazzo centrale, ben soleggiato, ma anche con qualche albero per fare ombra d'estate (che va bene la brezza dell'Oceano, ma insomma lì il sole picchia forte anche se peraltro alle vecchie ossa questo calore fa solo bene...), nella stessa palazzina dell'aldilà, con la speranza che non siano troppo litigiosi e si facciano compagnia invece, e abbiano bei conversari e nascano nuove amicizie ultratemporali. E ero contento, e mi sembrava di sentire quelle loro voci melodiose e di partecipare anch'io in qualche modo a tutto quel ciacolare brillante e fantasioso. Perché tra i morti, con i morti, non è difficile intendersi: ciascuno conserva la propria lingua, con tutte le sue meravigliose peculiarità, ma tutti le capiscono tutte e in tutto e per tutto, dagli incanti della sintassi, alle figure più impensate, giù fino alle più sottili sfumature semantiche e tonali. E mentre pensavo: chissà dove sarà Tabucchi, alzo gli occhi, e dietro quella tomba vedo una cappelletta con scritto ESCRITORES PORTUGUESES II e accanto dei nomi, l'ultimo dei quali, perché il più recente credo, è proprio Antonio Tabucchi. 
 

Sono così tanti gli scrittori portoghesi, e tanta è la sollecitudine per ciascuno di loro, che hanno aggiunto una cappella e altre ne aggiungeranno di certo quando sarà il caso. Sono contento che Tabucchi sia qui con gli altri, non da solo. Mi avvicino e vedo che davanti alla porta e sul vialetto e contro il muro laterale sono ammucchiate molte corone e penso che sono tutte per lui, e che è giusto così, che gli scrittori sono delle lingue in cui scrivono e dei luoghi che più amano e da cui, se la sorte è benigna, sono riamati. E ho continuato a girare tra i vialetti, il sole era a picco e non c'era quasi nessuno e insomma, non è bello dirlo, ma avevo un serenità dolce e quasi gioiosa, dentro.
 

Poi, poco oltre, dietro l'edificio delle cerimonie al centro del cimitero, quasi addossata al muro, c'era questa statua in bronzo che raffigura a grandezza appena più che naturale, in modo da favorire il rispetto o una qualche sfumatura di venerazione senza incorrere nel gigantismo, una donna seduta su un invisibile scranno, col capo cinto di alloro, avvolta in un lungo abito morbido e senza pieghe da cui sbucano solo le mani quasi abbandonate su un libro aperto sul quale però si fatica a leggere qualcosa e uno sguardo tristissimo, o forse solo ispirato. O entrambi, come se l’uno fosse solo il risvolto dell’altro: uno la faccia pubblica, l’altro quella privata, a seconda delle circostanze e degli interlocutori. O come se fossero intrecciati in fondo all’anima, all’arte. I portoghesi ci son portati. E’ uno stigma nazionale. Se in giro vedi uno che ride, pensi subito che è uno straniero. Sarà l’oceano, il cuneo della lontananza anche da vicino. Il vento. Vallo a sapere. Sulle due pareti dell’edicola o nicchia che alloggia la statua, in basso ci sono nomi di architetti e rispettive firme; più sopra alla sua sinistra la data di nascita, a destra la scritta: morì il 24 agosto 1894 con i sacramenti della chiesa. Ma questo lo vedo dopo. Prima avevo notato, su un gradino ai suoi piedi, solo la scritta: os seus amigos. Non so, mi ha commosso.
I suoi amici. Sì.
 

 
E ho visto monumenti e tombe con le insegne delle professioni, e tombe di massoni e di libertari e atei fieri di dichiararlo, e tante tombe con le porte a vetri e le tendine linde che dentro lasciavano intravedere gli scaffali con le bare pulite e ordinate, ricoperte di panni di pregio, e foto e ceri e altri ricordi sugli altarini contro il muro di fondo...
ma poi anche tutte quelle tombe con il cartello ABANDONADO, le porte scardinate, i vetri infranti, e le vecchie bare ancora sugli scaffali, alcune ricoperte da panni stracciati, altre socchiuse, marce, e gli oggetti per terra rotti o ricoperti di polvere, le foto sugli altarini nelle loro cornicette intatte, e le immagini che scolorano, svaniscono... 
 
 
 

E infine sono uscito, ho raggiunto i miei amici e ci siamo diretti verso nord, e appena fuori città, c'era la chioma ondulata di questa foresta di pini e sugheri che scorreva accanto alla strada, e noi era come se sciassimo fluidi, in silenzio, sopra di essa, su tutto quel verde compatto che vibrava appena al nostro passaggio, come se fossimo una grande mano che carezzava la pelle antica del mondo.
 

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