Non
capisco perché si debbano salvare le specie in via d’estinzione. E’ un enorme
spreco di tempo, soldi e energie. Se si stanno estinguendo a causa nostra,
dovevamo pensarci prima; e magari pensare subito a evitare che emergenze di
questo tipo si ripetano in futuro. Quelle che sono già condannate forse sarebbe
più rispettoso lasciarle andare con dignità. O vedere se se la cavano da sole.
Anche se in certi casi uno avrebbe la tentazione di assecondarne la scomparsa. Con
il pedone che attraversa le strade trafficate, per esempio. Persino nella sua
versione più mite di attraversatore di strisce pedonali. Talvolta mi prende
l'impulso, coi miei poveri mezzi, di favorirne l'estinzione. Non è una
propensione naturale: di natura mi picco di essere buono; piuttosto un riflesso
indotto da circostanze avverse particolarmente maligne. Subdole. Luciferine. A
meno che non si tratti di una bontà di secondo grado, più profonda di quella
naturale, ma di cui mi sfugge la logica, che pure dentro di me sento direi
quasi il dovere di assecondare; anche se finora ho resistito. Ahimè. Ma
potrebbe pure trattarsi del magnete della perfezione, la deriva che induce a
portare a compimento ogni lavoro che qualcuno abbia iniziato: soprattutto se è
rimasto in sospeso dopo un inizio promettente; ma ancor più, per come sono
fatto io, se già il principio era difettoso. Non sopporto i lavori malfatti.
Devo ringraziare mio papà per questa stortura. A volerla seguire ci sarebbe da
rifare il mondo intero, dalle origini e oltre. Dall'originatore. Meno male che
mi soccorre la pigrizia.
Prima
che sparisca, allora, mi è venuta l’idea di scriverne la fenomenologia. Un
abbozzo perlomeno (sono vecchio fan di filosofi che cominciano con la H). I
preliminari. Grundrisse, al più. Un canto a un mondo che se ne va. Un epicedio
in lieve anticipo. E un modo per alleviare il senso di colpa del complice. Per
impedirgli di formarsi, anzi. Coi sensi di colpa ho chiuso. Sigillati e consegnati
a uno sconosciuto che li gettasse in fondo all’oceano, in balia di correnti
indecifrabili.
Uno
dei fattori scatenanti del suddetto impulso, forse il principale (ma non sarà
una qualche libido destruendi? Un puro e semplice, banalissimo piacere di
annientare, di portare tutto al nulla da cui proviene, come per una superiore
legge dell'omeostasi? O una versione benevola del cupio dissolvi, un proiezione
del desiderio di morire, o del suicidio, all’esterno, dato che io stesso sono
principalmente un camminatore? La tensione verso la pace perpetua? Ma sì! Esageriamo,
a rischio del ridicolo… a capofitto nel suo traffico forsennato!), o
l’occasione, se si preferisce, ha un'origine precisa: il paese vicino al mio,
quasi incollato, come un gemello siamese, gemello-rivale, che devo attraversare
praticamente il 70% delle volte che devo fare qualcosa che al mio difetta. Cioè
quasi tutto.
Dunque:
questo paese, che è persino indegno di essere nominato; questo luogo
seminfernale, di morbose tentazioni; piccolo ma ad alta gradazione di pericoli,
luogo frattale dell'agguato e della perdizione; questo conglomerato informe,
dicevo, proprio in centro, nel suo cosiddetto microscopico centro, roboante e
tronfio e miserabile, che non è manco un centro a dirla tutta, ma un bubbone,
un'escrescenza che supplisce all'assenza di un vero centro con la sua
prosopopea, nel tratto di strada che lo attraversa, 200 (duecento!) metri in
tutto, senza semafori, con una deviazione verso la piazzetta del comune, poco
più di un cortile poco meno di un'aia, un'altra verso un parcheggio e una terza
verso un senso unico recentemente lastricato di nobili sampietrini di porfido
color vinaccia smorto, quasi esangue, come un ematoma che sta per essere
completamente riassorbito, vanta ben 8 passaggi pedonali, ai quali si
aggiungono 5 rallentatori tipo piattaforma, ampi, ma con un dislivello
dolomitico, nei 150 metri della via affluente che costituirebbe una spiccia
alternativa se da casa mia volessi giungere qui passando per la campagna e poi
davanti al cimitero, vicinissimo quindi, comodissimo!, quasi un invito al
trapasso, volontario o involontario o procurato che sia, rallentatori che
ricoprono la funzione di strisce pedonali, che infatti sono disegnate sulla
piattaforma in un giallo di chiara ascendenza organica: tutti percorsi da un
incessante andirivieni di passanti, un flusso infinito, tanto intenso che
sembra che tutti gli abitanti di quel minuscolo buco non facciano altro che
attraversare in tondo ora l'una e poi un'altra e poi le altre fino a sera tutte
le piattaforme e le strisce, calcolando con precisione il momento in cui
qualcuno sta per arrivare sull'altro marciapiede per imboccare lo stesso
percorso in modo che non ci sia intervallo sufficiente ampio perché bicicli o
quadricicli a pedali o a motore possano insinuarsi, e più ancora, passando il
testimone, ove questo intervallo si producesse, a qualcun altro che attraversa
2, 5, 7 metri dopo le strisce, il quale, già che c'è, inaugura un nuovo flusso
fuori riga, altrettanto intenso e altrettanto invulnerabile, perché se uno è
fermo 3, 6, 8 metri prima, non vorrai che si metta in moto, o, se parte, che
prenda una velocità potenzialmente letale in uno spazio così limitato?, di modo
che si formano sempre code lunghissime, che ci sarebbero già, di regola, a
causa della vicina autostrada dove praticamente ogni ora c'è un incidente che
costringe a deviazioni e fuoriuscite anticipate di camionisti nervosissimi con
l'occhio iniettato di furore omicida, ma vengono poi accresciute da questa
folla infinita che uno non crederebbe che morte tanta n'avesse disfatta, e che
appunto per questo nessuno si accorgerebbe se crescesse o diminuisse di qualche
unità grazie al sollecito intervento tuo o di qualche altro filantropo di cui
il mio territorio abbonda, magari un po’ ogni giorno, tanto che alla fine: to’,
penserebbe l’autista di passaggio, non c’è più nessuno, è il paradiso…
L'unico
vantaggio di questo, come di tutti gli inferni, è che, qualsiasi cosa uno cerchi,
ci trova la casistica completa: qui dell'attraversatore di strisce e di strade
in genere, con tanto di varianti afferenti l'antropologia culturale in virtù
della composita varietà dei soggetti, che spesso sovrappongono all'odissea da
un marciapiede all'altro i riti di passaggio e le esibizioni di virilità o
femminilità (se una cosa tanto mostruosa esiste) delle rispettive culture e
famiglie e gruppi d'età e livelli mentali, morali e ormonali.
Non
sto a diffondermi sul pedone prudente, alla cui categoria mi onoro di
appartenere quando non sono sovrappensiero o non sto guardando altrove o parlando
o sentendo musica o salutando qualcuno o cercando di riconoscere un essere
vivente o un oggetto qualsiasi, anche incorporeo:
l'attraversatore
morigerato, attento, il simpatico esemplare da manuale merita tutto il
rispetto, e sarebbe certo di grande interesse se appunto non fosse relegato nei
manuali. Appena ne vedrò uno in carne ed ossa lo descriverò senza risparmiare
nemmeno la tac del mitocondrio. Per il momento ci passo sopra.
Potrei
anche tentarne una descrizione in cavo, per differenza e sottrazione, partendo
da tutti gli altri tipi e lasciando al lettore volonteroso, cioè il mio lettore
ideale (tanti baci!), di completarne la fisionomia unendo i tratti distintivi e
ribaltando in positivo il calco. Come una maschera mortuaria. Forse il ritratto
si disegnerà da sé, balzando fuori dalla scatola degli attrezzi, uscendo a
cavallo dal mundus in cui si era prima gettato. E in cui qualcuno getterà me,
se non la smetto con queste citazioni e allusioni.
Quindi
non dirò nulla del passante spavaldo, in fila, sulle strisce di una strada
vuota, l'aria sicura e allegra come la copertina di un lp d'annata.
Un'occasione persa. Peccato!
Quello
che si avvicina di più all'archetipo è l'attraversatore circospetto, che non
rinuncia al gesto di difesa neppure quando le carreggiate sono vuote o le auto
già ferme a distanza di sicurezza. E' un gesto quasi impercettibile, di solito
automatico, che consiste nell'alzare leggermente la mano, pur tenendo il
braccio disteso ad assecondare il passo, e quindi ruotando il palmo prima in
parallelo all'asfalto e poi aperto, ma appena, senza alcuna implicazione
minacciosa, verso la macchina che già si sta fermando o addirittura è già
ferma, come a impedirne la corsa immobile ma sempre incipiente, la ripartenza
che si suppone nervosa per la sosta imprevista anche quando il conducente è
tranquillo e sprizza cortesia. Vedendo gli altri che lo fanno ho realizzato di
farlo spesso anch'io. E' la mimesi. O la fifa. Mi chiedo cosa ne direbbe
Darwin. Anzi, no. Perché importunarlo con queste scemenze?
Non
dico niente nemmeno delle vecchiette spaurite e dei vecchi tremolanti perché a
breve rientrerò nella categoria e niente compassione, per favore. Però a volte
la sindrome del buon samaritano, a vederli, ti prende lo stesso: l'imperativo categorico
di abbreviarne le sofferenze. Con giovamento alle famiglie: doppio, perché si
vedrebbero alleviate di un debito, senza farsene una colpa in quanto la
disgrazia non sarebbe dipesa da loro, e anzi verrebbero risarcite dalle
assicurazioni (ammesso che una volta tanto vogliano adempiere ai loro
obblighi).
Sono
più interessanti quelli che ricamano l’orlo della regola aurea pur restando al
suo inerno, e quelli che la infrangono solo di poco.
Gli
spavaldi esibizionisti che la infrangono platealmente e attraversano senza
preavviso dove gli capita, secondo l’estro o la produzione testosteronica, non
rientrano nella casistica e quindi si possono travolgere in tutta serenità. Che
se c’è giustizia si potrà chiedere i danni, per lo spavento e le ammaccature alla
carrozzeria, e altri generici danni morali, al diretto interessato, qualora
sopravvissuto, o alle famiglie, che, so per certo, spesso aggiungono un piccolo
vitalizio all’autista in proporzione alle spese di mantenimento venute a
cessare con l’inutile esistenza dello scassamaroni investito. Un caso simile a
quello summenzionato, con sottili ma decisivi distinguo però. Infatti, per
esempio, lì si trattava di amabili vecchietti amati da quasi tutti i famigliari
e che è possibile, una volta crudelmente liquidati dalla sorte, persino
rimpiangere; mentre qui il soggetto in esame, sempre per esempio, avrebbe
potuto anche evitare fastidi ai sopravvissuti togliendosi di mezzo di propria
iniziativa, anche in maniera non cruenta, sparendo e basta, come nei romanzi:
ma appunto, non sarebbe stato lo scassamaromi che era.
Senza
contare la visione epica delle greggi che si accalcano ai semafori cittadini in
attesa del verde e poi si muovono uno accosto all’altro, stretto stretto, come
oceaniche mandrie nel Serengeti, altrettanto maestose, ma senza sollevare tutta
quella polvere fastidiosissima e puzzolente che ti colonizza ogni alveolo
polmonare e resta nella memoria olfattiva fino a un attimo prima della morte
(poi ci sono altre urgenze): e comunque uno spettacolo di sicuro effetto…; a me personalmente piacciono gli
attraversatori che passano sulle strisce come se stessero levitando in un
tunnel spazio-temporale tutto loro, isolati dal resto del mondo a cui pur offrono
il proprio splendido simulacro in contemplazione: come accade anche a certe
donne non attraversanti, purché in affollati luoghi pubblici tuttavia. Hanno un
passo sicuro, fluido, disinvolto: il passo della sprezzatura. Potrei
invidiarli: non fosse che c’è quasi
sempre qualcosa che li rende ridicoli. Ma le eccezioni profumano di portento.
Sono un’igiene per la vista. Un collirio trascendentale.
I
regolari, i docili, non sono un grosso problema: spazzarli via non costerebbe
fatica, se ne valesse la pena. Se già non ci pensassero loro a togliersi di
mezzo accelerando il passo, con lo sguardo deferente, grato perché gli è stato
concesso un transito sicuro, con sorrisi che allargano il cuore. Che
riconciliano con l’umanità, ammesso che questo sia desiderabile.
Meglio
occuparsi delle minacce. Le folle sulle strisce raramente lo sono, se non in
occasioni estreme in cui solo gli idioti vanno a cacciarsi. E allora peggio per
loro! Escluso questi casi, gli attraversatori più pericolosi potrebbero
sembrare quelli che, dopo un'occhiata fugace davanti a sé, non alterano il
ritmo dei loro passi e piegano con sicurezza verso le strisce, all'improvviso,
senza soluzione di continuità, fermandosi poi, o viceversa accelerando di colpo,
solo dopo aver visto sopraggiungere una macchina dalla direzione prima
trascurata o aver sentito lo stridore dei freni, avviando una pantomima
stizzita di parti tu, no tu, no tu, tutti e due insieme e poi insieme fermi di
nuovo e deciditi una buona volta.
Invece
i più infidi, quelli veramente pericolosi, appartengono alla specie che pratica
l'hesitation. Che a modo suo sarebbe pure un’arte, perché spezza la continuità
e introduce una variazione di ritmo. Anche più di una, nei virtuosi. Le frenate
avvengono, rispetto ai casi precedenti, con un attimo di ritardo, e dopo aver
dato all’autista una fallace sensazione di sicurezza, tanto da indurlo a procedere
di quel tanto, prima della brusca frenata, da trarre in inganno anche chi lo
seguiva nella fila, che in alcuni casi, per distrazione o distanze non
rispettate, finisce per tamponarlo. La consolazione in questo caso è che il
pedone viene investito in seconda battuta e la colpa ricade sul secondo della
fila, che se la dovrà prendere solo con se stesso. Rispetta il codice, somaro!
Questa
casistica ha favorito la diffusione di vere e proprie leggende napoletane (o
metropolitane, non ricordo…) di kamikaze del piccolo trauma a scopo estorsione
(personale o assicurativa). Gente in agguato sui marciapiedi, o nei parcheggi
dei supermercati, nelle strette viuzze dei centri storici, lesta a approfittare
del pollo, in genere attempato e alla guida di autovetture non troppo di lusso
(altrimenti quelli mandano i loro, di avvocati, o qualche amico influente, o
amico di amico nerboruto), che allunga la zampina, il fianco, attenta a non
esagerare ma abbastanza per spillare qualche gruzzoletto significativo,
malattie pagate, magari infermità permanenti di minima entità, tipo l’8%
dell’udito che poi è un vantaggio anche in rapporto all’inquinamento acustico
crescente… Storie fantastiche che un cartesiano di ferro come il sottoscritto
ascolta con un sorriso accondiscendente e nulla più; e che quindi le lascerà
perdere, affogate nella melassa dell’aneddotica. Mica sono un barzellettiere,
io!
Subito
dopo vengono quelli che mancano le strisce di poco, ma che fanno come se ci
fossero sopra, per metonimia, identificazione mediante contiguità; magari lo
fanno apposta, come atto di suprema libertà: infrango la regola, ma di poco...
ma intanto la infrango e l'infrazione, in quanto tale, è assoluta, prescinde da
sfumature e misurazioni. Hanno la schiena dritta, lo sguardo padronale, un po’
altezzoso forse, ma più che altro indifferente, come di chi ha il sedere ben
comodo sul diritto, chi comanda perché è così, naturale e dovuto. Perché è lui.
Però sotto sotto si muovono circospetti. Lo sguardo periferico scrutatore,
pronti a scattare, a fermarsi o deviare, e a inveire, ma soprattutto a
minacciare. Sono gli eroi del nostro tempo. Diversamente vigliacchi.
Poi
ci sono quelli che arrivano spediti, dando l'impressione che si getteranno di
slancio sulle strisce e le attraverseranno in un lampo, ma appena poggiano il
piede sul bordo del marciapiede si arrestano di colpo, in bilico precario sullo
spigolo del marciapiede, ondeggianti, a rischio di caduta in avanti se qualcuno
non li prende sollecito per il gomito. Ma anche a rischio di spinta, di calcio
negli stinchi o di tamponamento da chi segue con lo stesso passo e la stessa
svagatezza. E’ gente che viaggia a frotte, in gruppetti contagiosi, che
sacrificano volentieri il capopopolo per spirito di equità. Come giusto
d’altronde.
E
poi ci sarebbero… Ma no. Basta. L'idea era di descrivere posture,
andature,velocità, soste, manovre di osservazione e loro assenza, forme di
decisione e indecisione, tipi di partenza, l'arte dell'incipit, e le fasi e
modalità dell'attraversamento, e il ventaglio delle implicazioni culturali, di
immagine data o desiderata... sai che palle!
In
fondo, a ben vedere, cosa vuoi che me ne importi di questa genia? Con tutto il
tempo che già mi fanno perdere per strada, non vedo perché ne dovrei perdere
anche qui. Che vadano a ramengo, loro e le loro strisce! Che attraversino come
meglio gli garba i loro limbi e che il viaggio gli sia lieve, e approdino infine
a mondi lontani, tangenziali, di pura felicità. La loro sarà anche la mia.
sono arrivata solo a metà percorso. In giornata spero di finire l'attraversamento. Da viva! Luigi, come sempre, chapeau! lucetta
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