Pensavo,
durante la passeggiata, che quest'anno, senza cambiare di una virgola i miei
percorsi, mi piacerebbe cominciare a esplorare un altro universo. Quale, ancora
non so, ma non dovrebbe essere difficile trovarne uno nuovo. L'ignoranza è
generosa.
Mi
guardavo attorno, come a cercare uno spunto, ma senza fretta e con scarsa
convinzione, per scaldare i muscoli (sarebbe il cervello; o i sensi, non si sa
mai...), quando ho visto due papere nel canale: si muovevano di traverso,
abbandonate alla corrente che, dopo una curva, le spingeva verso riva.
Sembravano divertite da quell'attraversamento dolce. Si godevano la diagonale.
O forse erano solo indifferenti, e la passività comoda, naturale.
Di
sicuro non erano allarmate, in sospetto: nemmeno verso di me, che le aspettavo
più in alto, sull'argine, guardando di sbieco, lo sguardo curvato incontro alla corrente che sulle prime non avevo percepito, con la
pretesa di decifrarla. Ecco.
Sullo
sfondo, tra le canne secche, ingobbite, ma appena appena, verso la strada, un
vecchio palo della luce in disuso, dritto come un fuso. O come un palo della luce.
Non ci sono che loro, qui che vanno su dritti dritti. Muoiono in piedi, persino
– loro.
(A
me invece non dispiacerebbe stendermi lì, sul ciglio, tra l'erba, e aspettare.
Stare un po' a vedere...)
(Poi
ho fischiettato tutta la strada, da perfetto scervellato.)
(Ps. Sottofondo, stavolta, Robyn Hitchcock. Lo dico
per Giacomo, nel caso passi di qui.)
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