15/03/14

Racconto con gatto, cagnolino abbandonato e, forse, pettirosso zoppo


Non è vero niente. Non troverete qui niente di quanto è annunciato dal titolo. Mi spiace. Vi ho ingannato.
Mi sono detto: ora scrivo una menzogna. Illudo il lettore, lo prendo in giro, titillo i suoi sentimenti più facili, e lo deludo. Un gioco stupido. Ma insomma, con tutta la verità sbandierata ai quattro venti da chiunque in ogni salsa, scrivere una menzogna, e poi dichiararlo, mi sembra una cosa buona. Piacevole e innocua, almeno.

Non è vero che ho fatto tutto questo ragionamento. Ho pensato solo: ora scrivo una menzogna. Solo questo. E l’ho scritta. (Sarebbe il titolo...) Cioè, c’ho provato, ma non sono sicuro di esserci riuscito. Non sono sicuro che il titolo sia una menzogna. E’ un’affermazione, o meglio: un enunciato, come tanti altri. Niente in esso permette di capire, o di decidere, che si tratta di una menzogna (è una vecchia storia, ma insomma...). Lo decide, semmai, ciò che viene dopo. Cioè ora? qui? Non è detto, perché questo dopo può durare indefinitamente. Come l’amore tantrico, a quel che raccontano. (A me basterebbe molto meno. Chiedo venia.) Per 10.000 pagine, per esempio. E alla diecimilleunesima pagina, ecco che ti compaiono i tre animaletti, tutti insieme, o uno alla volta, magari a cominciare dall’ultimo, o in ordine sparso, separati l’uno dall’altro da un altro tot di pagine (732 per l’apparizione del secondo; 3027 per il terzo, o per primo e secondo assieme, e altre 12 perché i tre sfilino in bella compagnia sulla stessa facciata). Allora non sarà più una menzogna.


Ma secondo me non c’è bisogno di aspettare tanto. Secondo me i tre animaletti (così carini! poveri! teneri!) sono già qui. Non sono mai stati altrove e i non ho mai cessato di parlarne, direttamente e indirettamente. Circolano in tutte le parole che ho scritto. Vi si specchiano. Il gatto è accoccolato da qualche parte tra le righe (sulle mie ginocchia; no: sulla mia spalla, che guarda ciò che scrivo); il cane mi ha seguito mentre tornavo a casa guaendo per farmi compassione, per elemosinare una carezza, un po’ d’affetto (che gli ho dato, perché anch’io ne ho bisogno; sempre!), e ora gironzola nel giardinetto fuori casa, dove il pettirosso (o è un passerotto?), dopo aver zampettato traballante sull’erba, è volato su un ramo che sporge proprio verso la mia finestra e da lì mi sta guardando.
La vera menzogna quindi non riguardava tanto loro (cioè sì: ma solo prima che scrivessi, nel calduccio dell’intenzione che aveva presieduto alla decisione di scrivere una menzogna, e che questa menzogna contenesse la promessa di parlare di tre animali di cui ancora non conoscevo l’identità, ma che avrebbero dovuto arruffianarmi i lettori e soprattutto le lettrici; perché come ho già scritto dei primi ho la tendenza un po’ maleducata a fregarmene, e parecchio anche); non loro quindi, quanto il termine ‘racconto’. 


Quello che avevo iniziato con il titolo e che ancora non sapevo cosa sarebbe stato, non appena ho aggiunto al titolo le prime parole ho infatti capito subito che non era un racconto. Non era cioè qualcosa che comincia in un modo e finisce in un altro, prendendo una cosa o un essere, vivente o immaginario, appartenente al regno vegetale o animale, ma anche minerale se ci si dà dei tempi appropriati, che possono andare dalla tempesta di un attimo a ere geologiche, per seguirne le modificazioni, alcune almeno, fino a qualche altro punto. Punto che diventerà fermo una volta arrestato il tragitto, anche se l’essere o la cosa si può pensare che da qualche parte abbiano continuato o continueranno a esistere e cambiare. Non era qualcosa che non si limita a nominare i cambiamenti di questa cosa, ma li mostra, li mette in moto, li fa agire. E questa cosa alla fine un po’ è ancora com’era all’inizio, e un altro po’, o molto, è diversa. Più vecchia, o più piccola o più grossa. O morta.
Ecco, non mi passava nemmeno nell’anticamera del cervello di scrivere qualcosa del genere. Una storia. Non dico una storia con quelle tre bestie fottute, ma solo una semplice normalissima storia. Una storia qualsiasi.
Eppure, una volta messe in fila le prime parole, e addirittura già le poche parole del titolo, una storia ha subito cominciato a essere. C’era già, subito, lì; e c’è ora. Eccola qui. E tutta vera.



Nessun commento:

Posta un commento