Lo
spostamento d’aria del mio corpo che cammina produce alla mia sinistra come un
crepitio, la cui discontinuità dipende, credo, dalla distanza della sterpaglia
e dei tronchi contro cui vanno a infrangersi le onde che ne derivano.
Può
darsi che dipenda anche dalla direzione del vento, che pure è assente, secondo
la mia capacità di percezione quanto meno; perché se mi sposto sulla destra,
avvicinandomi al rialzo della riva, dove la vegetazione è più folta e continua,
non sento niente, mentre, aguzzando l’udito, avverto ancora il crepitio, appena
più attutito, a sinistra.
Se
mi fermo cessa qualsiasi rumore. Prima di attribuirli al mio corpo in
movimento, pensavo che i rumori provenissero dall’interno del sottobosco, da
rametti e foglie che si sfregavano o da animaletti intenti ai loro traffici, ma
non è così. Costeggiando una cancellata che recintava un giardino con qualche
albero e un edificio al suo interno, si è prodotto uno scoppiettio come di
mortaretti, ma discreti, in sordina, quasi volessero trattenersi per paura di
disturbare, vergognosi, ma proprio non ce la facessero, perché contronatura è
difficile andare, per le cose.
Di
rimbalzo dai muri il rumore è più regolare, ritmato in accordo al mio passo, ma
con minime discordanze, piccole accelerazioni, sussulti derivati forse dal
passaggio accanto a una finestra o a un rientro, a una nicchia o a una porta, e
dalle asperità e dai rilievi della superficie, dai materiali eterogenei di cui
i muri son fatti. Contro un muro a secco di duecento metri, a prevalere è stato
una specie di rullio, che in alcuni punti sembrava segmentarsi in sottoinsiemi
regolari, in frammenti ritmici che ricordavano la prosodia greca. A un certo
punto mi è parso di sentire, per qualche attimo, appena accennata, una frase
del Bolero di Ravel.
Nel
frattempo sono arrivato in paese e ho cambiato direzione, ma l’eco continua a
raggiungermi sempre da sinistra; e io continuo a non capire perché. E’ la prima
mattina con l’aria rinnovata: forse dipende anche da questo. Ora sono le otto,
sono in giro da mezz’ora, la temperatura alla partenza era di 11 gradi, la luce
bellissima e l’aria frizzante mi pizzicava le guance e il collo. Da qualche
minuto invece mi sono seduto a scrivere su una panchina al sole che mi
accarezza la nuca, appena tiepido di per sé, ma che scalda gradevolmente, a
confronto di quanto percepito dal corpo ancora all'ombra.
Prendo
la via del ritorno e i rumori persistono a giungermi sempre e solo da sinistra,
anche in riva al canale, dove la superficie di rimbalzo (quella che io suppongo
tale) è piuttosto distante. Allora mi viene il dubbio di essere sordo dalla
destra, o di sentire meglio dalla sinistra. Però ora, mentre sto prendendo in
piedi questo appunto, mi passa accanto uno e non sento nulla da nessuna parte,
come se solo il mio corpo producesse rumori e rispettivi echi. Come se solo al
mio movimento il mondo si degnasse di rispondere: come se io fossi aperto a
sentire solo da una parte la risposta che il mondo mi invia, e, senza volerlo,
a sentire solo quella.
Allora
metto le cuffie: non per sentire altro, ma per non sentire più niente.
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