C'è questo signore sui cinquant'anni, a
volte accompagnato da una donna minuta dall'aria smarrita vestita in modo
dimesso, se non sciatto, di statura medio-bassa (l'uomo), molto robusto, obeso
anzi, con un viso rotondo e il ventre dilatato che preme contro il giaccone di
pelle nera che indossa sempre, estate e inverno, e un grosso mazzo di chiavi
che pende da una catena agganciata al cinturone, un cappello dalla tesa rigida,
di tipo militare, simile a quelli che piacciono tanto ai bikers o ai gay-fetish,
o più modestamente agli agenti della Polnotte, ma che poi, a ben guardare,
richiama o forse addirittura è uguale a quelli della Wehrmacht, o delle SS, o di qualche altro
corpo nazista, almeno dallo stemma riconoscibile però solo dagli intenditori,
non da me, mentre invece sono espliciti quelli cuciti sul giaccone,
accompagnati da croci e spille di gruppi di estrema destra, o proprio nazisti...
insomma un uomo giusto così, come tanti, a vederlo, comunissimo, elementare nel
suo comportamento come nei pochi discorsi che gli ho sentito fare passandogli
vicino, solo a volte un po' sovratono, nel contenuto più che nel volume... uno
che ha trovato questo modo per dire che c'è, che è lui, e vi si è trovato bene,
per distinguersi nel suo piccolo grigio paese, come lui invece non vuole
essere, forse, anche se oltre magari non è mai andato né mai andrà, come i suoi
compaesani, tutti o quasi, ma che non per questo mi suscita qualche sentimento,
di compassione per esempio, o di tenerezza: meglio, o che sento, in qualche
modo, simile, sodale, come pure vorrei, ma poi no, non ce la faccio, proprio non
ce la faccio.
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