Nelle Nozze mistiche di Santa Caterina del cosiddetto
Maestro del fogliame ricamato (Master of the Embroidered Foliage, attivo tra il
1480 e il 1510), ci sono queste due elegantissime signorine sedute nell’erba ai
piedi della Madonna, che invece se ne sta, comoda e maestosa, su un bellissimo
tappeto. Se non che, qui, è l'erba stessa a essere un bellissimo tappeto
(finemente ricamato: appunto).
Maria tiene tra le braccia il bimbo, che sembra un ometto
stempiato e si sta slanciando verso santa Caterina per impalmarla infilando
l’anello nuziale nel suo anulare proteso. La santa, riccamente ingioiellata e
abbigliata in modo adeguato alla circostanza e alla sua nascita regale, offre
allo sposo un fiore purpureo, forse una rosa selvatica (simbolo del sangue che
verserà per lui nel martirio? simbolo di un altro simbolo? di altri simboli a
catena? a pioggia?), sotto lo sguardo compunto, certo devoto ma anche con una
comprensibile punta di invidia, di una damigella inginocchiata alle loro
spalle: un’altra santa martire, con il suo bel fiore tra le dita.
Maria ha la testa leggermente reclinata verso ciò che sta
combinando suo figlio; il suo sguardo mi sembra, più che attento, allarmato,
come se non approvasse le nozze, forse a suo parere un po’ avventate, anche se
solo mistiche. Tutte e tre le donne portano i capelli sciolti, lunghi, tanti ma
sottilissimi, sfilacciati, che necessiterebbero di un trattamento per dargli
volume e lucentezza; come li hanno pure le due damigelle dietro di loro, a
sinistra, sedute sotto un pergolato in compagnia di un agnello, che se ne sta
tranquillo a dispetto della sua interpretazione scontata, e come una terza a
figura intera ancora più sullo sfondo, in quello che sembrerebbe un hortus
conclusus, separato dal resto della scena da una cinta merlata così bassa che
un cagnolino, o l’agnello di cui sopra, la supererebbe senza fatica in
souplesse, rappresentata mentre coglie un fiore da una spalliera verdeggiante
vicino a una fontana che dovrebbe essere quella della vita, o dell’eterna
giovinezza (quella della salvezza, immagino in questo contesto, dell’aldilà:
una giovinezza eterna, spirituale, non quella materiale, a cui la nostra carne
aspira, ahimè senza alcuna speranza).
Ma non di questo voglio parlare...
A parte il disco luminoso dello Spirito santo, sempre
presente quando si tratta di matrimoni dallo statuto particolare e dalla
consumazione improbabile, ad affascinarmi al primo colpo d'occhio sono state le
due damigelle sedute sull'erba, certo due sante anche loro: due sante della
haute couture e del nobile portamento, se non altro. Una di loro volta una
pagina di un manoscritto senza dubbio splendidamente miniato (impossibile
attribuirgliene uno dozzinale), con sguardo pensoso: forse ha ancora in mente
ciò che ha appena letto, lo sta meditando, o forse si dà solo un contegno,
elegante come il suo abito rosso, semplice di fattura ma di stoffa pregiata
profusa in abbondanza, e pensa ad altro, a nozze meno mistiche di quelle di
Caterina, che a lei forse sono precluse per sempre; l'altra tiene in mano un
rosario ma di sicuro non lo sta recitando: infatti lo regge delicatamente tra
le dita come una collana, quasi ne soppesasse il valore, come certe signore di
Vermeer. Ha il collo lungo e sottile, come quello della sua collega, ma che lo
sembra di più a causa dell'inclinazione e della postura di tre quarti che
favorisce la vista di un'ampia porzione delle spalle grazie anche alla torsione
in senso opposto della testa inclinata in avanti che accentua la curva
dell'attaccatura del collo alla schiena e all'acconciatura raccolta in alto, di
fattura preziosa e ingioiellata, i capelli raccolti in un sottile retino:
inclinazione come di assenso, quasi compiaciuta, ma senza esibirlo, con gli
occhi socchiusi, da cui, più che uno sguardo mistico, estatico, rivolto insieme
all'interno e al trascendente, traspare una sfumatura mondana, come la memoria,
o l'auspicio, di altre estasi meno spirituali, più terrestri, di una che pensa,
senza darlo a vedere, lei sì a nozze vere, o a qualche soddisfacente prologo di
cui con buona probabilità ha già usufruito, forse di recente, e di cui
pregusta, si direbbe, la ripetizione a breve, con una sensualità rattenuta, che
peraltro le consuetudini dei suoi tempi e del suo ambiente indurranno a
interpretare in senso più nobile e raffinato, come tutto in lei del resto: dai
colori cangianti della veste alla cintura dorata, dall'elaborato copricapo alla
manica di damasco che spunta dall'abito grigio, con i polsini di pelliccia, mi
pare, come quella che sottolinea la scollatura dell'abito, e quelle che
ritornano nei bordi e nei risvolti degli abiti delle altre sante, in accordo
alla moda del tempo.
Dall'incanto del suo collo torno poi alla prima damigella, alla delicatezza con cui volta la pagina e regge il manoscritto tra le mani. È solo allora che noto il panno: panno che poi ritroverò nelle due sorelle di questa coppia che occupano i pannelli laterali di un “Trittico con sacra famiglia” di un ignoto Maestro olandese realizzato nel 1520-30 circa.
Le sante sono Barbara e, vedi le coincidenze, di nuovo Caterina, qui non ancora a nozze. Ciascuna nel suo bel pannello personalizzato, le due sante sono raffigurate in piedi: in quello di S. Caterina si nota come il panno sia unito, forse da piccole cuciture, alla massiccia copertina, penso di cuoio - ma allora non andavano per il sottile e le copertine le facevano anche di legno, spesso con rinforzi di metallo, e pietre incastonate, e tutto un repertorio di superfetazioni variabili quasi a ribadire che non si trattava di un tascabile e che anche il trasporto era sconsigliato: eppure vedi la leggerezza con cui queste donne all'apparenza così gracili, con quella testolina che sbuca appena da quei copricapo così voluminosi oltre che preziosi, li sorreggono! Dico all'apparenza, perché già affrontare il martirio non è affare da ochette svenevoli, ma queste due, oltre che elegantissime e con un repertorio di veli svolazzanti, gemme e froufrou che di sicuro incanterebbero un Arbasino (o avranno incantato, perché cos'è che non ha visto quel sant'uomo?) e altri amanti della passamaneria e dell'estetica esuberante, sono rappresentate anche con un che di aggressivo, e direi quasi di minaccioso (un ultraedipico come il sottoscritto direbbe quasi castratrici): Caterina con la ruota ai piedi e uno spadone in mano che impugna con nonchalance e senza sforzo, manco fosse un leggerissimo bastone da passeggio (appunto: spadone, lei...); e Barbara (che protegge dalle morti violente, ed è patrona, tra l'altro, della Marina militare italiana, dei Vigili del fuoco, dei genieri e di altre categorie a rischio come gli architetti, i montanari, gli stradini, i cantonieri, i campanari e, qualunque cosa possa significare, gli artisti sommersi, quorum ego quindi), con, al posto della prosaica palma dei martiri, una grande piuma vaporosa di qualche uccello esotico, magari proprio di un uccello del Paradiso, o di altre località del turismo oltremondano, che sembra che il librone lo abbia scritto lei in persona (e intenda continuare, perdipiù), entrambe circondate da un cospicuo numero di erbe e piantine dipinte con una tale acribia che solo la simbologia, mica il naturalismo, può giustificare, e con alle spalle, invece, paesaggi agresti che verso il fondo sfumano nel favoloso, di un azzurro che di leonardesco ha solo una vaga memoria, e per il resto, come lo sfondo del pannello centrale, sono solo protodisneyani, cosa che a qualcuno magari parrà un merito.
Ma dicevo del panno sotto il libro... di quel lembo di
prezioso tessuto, morbido, setoso, con cui queste sante, e tanti angioletti,
avvolgono quei libroni così preziosi... per proteggerli, certamente, per
preservarli dalla polvere e dall'umidità, dalle macchie di unto, dalla
sporcizia così dilagante in quei periodi che spesso non veniva nemmeno
avvertita, o dal contatto con il terreno, come per quello ai piedi della
Vergine nel pannello centrale, ma anche dal sudore che a volte imperla le dita
emozionate, e perché nemmeno le loro mani delicate rischino di scalfirli... ma
infine, credo, soprattutto perché il contatto con il sacro ha da essere
schermato, se no, lo sappiamo tutti, anche coloro che, come me, l'hanno
dimenticato, brucia.
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