In questo
quadretto dalle misure non enfatiche, il pittore si ritrae in piedi di tre
quarti, con il piede sinistro parallelo alla cornice e il destro
perpendicolare, chiusi in scarpe lucidissime guarnite da un nastro di seta (mi
pare: o velluto) e con tacchi a zeppa, modernissimi, di altezza berlusconiana.
La testa è girata un po’ verso lo spettatore e gli occhi lo guardano con uno
sguardo che di primo acchito può apparire ottuso, ma poi tradisce una curiosità
un po’ sorniona, da marpione ironico e compagnone, che non contrasta con la
rotondità paciosa del volto, dalle guance pienotte di chi non si fa mancare
nulla, non ancora cascanti (il soggetto ha cinquant’anni), gonfie, sebbene non
quanto il corpo, la cui volumetria è piuttosto accentuata che mascherata
dall’ampia mantella che arriva alle ginocchia, di seta nera con bordo di
velluto, o pelliccia rasata, pure nero, che conferisce all’insieme, oltre a un
tocco di eleganza non volgare da uomo di successo pratico del mondo e della buona società, l’imponenza di un sarcofago molliccio (o di una
vivanda al cartoccio pronta per essere infornata, mi ha fatto pensare l’orario
di pranzo ormai superato), non fosse per le gambette che ne spuntano, dai
polpacci in proporzione piuttosto sottili, non grassi né muscolosi,
comunque. O forse è proprio questo lo
sguardo che si addice a un pittore che, nonostante le sue molte figure di
schiena e certe scenette tanto ambigue che a volte è difficile attribuire loro
un titolo accettabile (basta vedere la cosiddetta Paternale, che alcuni interpretano invece in modo alquanto più
malizioso, secondo me più plausibile), che presta molta, magistrale,
attenzione, affettuosa e mercantile al contempo, alla superficie delle cose, ai
materiali, ai tessuti e agli ambienti disinteressandosi completamente del suo
lato misterioso, se non quello dei piccoli segreti domestici, e al minuetto della
vita sociale rigorosamente ritratta nel privato di una stanza, da cui talvolta,
al massimo, si intravede qualche altra stanza, giusto appunto per una
sbirciatina verso una profondità solo spaziale, per una variazione di luce.
Già famoso in vita come pittore di
genere ma soprattutto come ritrattista, tanto che anche una delle sue opere
storicamente se non artisticamente più famose, "Il trattato di
Westfalia", è di fatto una foto di gruppo nelle cui esigue misure (45,5 x
58,5) è riuscito a stipare l'ottantina di personaggi che hanno presenziato alla
firma del trattato di pace di Münster tra olandesi e spagnoli che ha chiuso nel 1648 la guerra
dei Trent'anni, Ter Borch fino alla "belle époque" è stato ritenuto
superiore anche a Vermeer, di cui era più anziano di quindici anni e che
ha certo influenzato, anche se non si può escludere una controinfluenza negli
anni più tardi. Alcuni soggetti e l'accuratezza dell'esecuzione molto simili,
in passato, quando il maestro di Delft ancora era poco studiato e avvolto dal
semioblio, hanno persino creato problemi di attribuzione, ma sempre in una sola
direzione: alcuni quadri era troppo belli per essere di uno sconosciuto,
com’era allora Vermeer. Ter Borch non lo vale certamente, ma non è distantissimo e certe sue opere
sono incantevoli. E quindi ha tutto il diritto di guardarmi così.
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