Le
mani dell’uomo anziano nel Ritratto
dipinto da Rembrandt nel 1667 sono puro Cézanne, mentre il faccione, modellato
a colpi di pennello esso pure senza disegno, permetterebbe a un buon diagnosta
di ricostruire l’anamnesi completa della devastazione inflitta al suo corpo da
una vita alquanto godereccia, si direbbe, che gli ha già presentato il conto da
tempo e senza sconti, e a un Balzac di costruirci una delle sue storie con
tanto di figlie degeneri, generi smidollati e vanesi e fini tristissime e
ingloriose.
La donna che scrive una lettera di Ter Borch (1655 ca.) potrebbe
essere un Vermeer (di fatto molto probabilmente lo ha preceduto, essendo
Vermeer a quella data all’inizio della sua attività), non fosse che per il
baldacchino (chiuso: il coniuge è lontano, starà scrivendo a lui... a meno che non convochi un amante intanto che la via è libera) sullo sfondo scuro, e conseguente eccesso di luce sulla scrivente. Mi colpisce lo spazio forse eccessivo dato al tavolo nudo in primo piano, di cui però mi piace molto il piano, nudo com'è, quasi grezzo, come mi piace il cuscino di velluto rosso in basso a destra che apre e tiene separata la scena, la cui liscia monocromia contrasta e dialoga con il tappeto mosso e variegato sulla sinistra. La
postura della ragazza, la sua concentrazione, e persino il giallo dell’abito
sono parenti stretti di Vermeer, ma l’aperto simbolismo dell’insieme gli
conferisce un che di aneddotico che in quest’ultimo di solito è meno marcato, se non assente. E’
molto bello lo stesso, comunque.
La
concentrazione della donna è quella di chi sta compitando la lettera alla
ricerca di parole che facciano colpo ma di cui non è padrona, l’espressione è civettuola.
Manca l’intensità che hanno certe donne di Vermeer; intensità assente anche nella
Vecchia merlettaia di Nicolas Maes
(1655, come sopra), che sembra più che altro una scusa per la raffigurazione
(magnifica peraltro) degli oggetti e delle suppellettili sulla sinistra, mentre
la vecchia, di ascendenza rembrandtiana ma calata in una rappresentazione di
genere, quasi patetica invece che drammatica, ha ben poco a che vedere con
la straordinaria giovane donna del capolavoro del Louvre.
Poi
c’era il meraviglioso Cardellino di
Carel Fabritius su cui taccio per rispetto. Che grande pittore!
E
infine la Ragazza con l’orecchino di
perla, che va be’, che dire?, è stata tanto mostrata e commentata che passa
la voglia di farlo per l’ennesima volta. Riporto soltanto alcune cosucce che mi
hanno colpito avendola potuta guardare da vicino.
Ci
sono due puntini bianchi nelle iridi della ragazza, in particolare, bellissimo
(non chiedetemi perché), quello della sinistra, situato sul margine tanto
che sembra confondersi con la sclera, che pareggia quello alla giuntura sinistra delle labbra, sotto di lui quasi a perpendicolo, che potrebbe sembrare un filo di saliva e invece altro non fa, mi pare, che concludere la serie dei meravigliosi riflessi chiari sul labbro inferiore umido; mentre quello di destra richiama i
riflessi nei vetri o negli argenti ricurvi, solo che qui non riproduce il
pittore nel suo studio o altri oggetti o finestre (nella perla sì, però), è solo un punto senza forma,
diversamente dal suo omologo più grosso sull’orecchino, che ha esattamente la
forma di una goccia.
Il
tessuto della fascia che pende dal turbante riflette i gialli, ocra e azzurri
rosati della giubba di seta damascata, che ha perso ogni disegno, sublimata a
puro colore dall’alchimia della luce.
Altro
non ho visto.
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