Mentre
sto leggendo sul balcone, sul lato in ombra della casa, nel mattino già afoso
di questa afosissima estate, oltre il giardino vedo passare in bici una giovane
donna, bionda e minuta, col figlioletto accomodato su un seggiolino alle sue
spalle. La guardo, la vedo, ma è come se non la vedessi. Infatti la sbarra
trasversale dell’inferriata le sega a metà la testa all’altezza del naso e
degli occhi. La seguo con lo sguardo sperando nell’apertura del cancello alla
mia sinistra non dico per riconoscerla (mi sembra di non averla mai vista
prima), ma quanto meno per farmi un’idea completa del suo viso. Devo vederlo, è
necessario che lo veda, mi dico, anche se non so perché, anche se sono
lontanissimo da qualsiasi curiosità erotica o d’altro genere. Anzi, la
necessità è più impellente proprio perché vuota, immotivata. Invece, quando la
ciclista arriva al cancello, che nel mio condominio non è mai stato chiuso
negli ultimi quindici anni, l’estrema propaggine orizzontale di un ramo del
cedro che mi sta di fronte prosegue con sardonica precisione il lavoro di
ostruzione della sbarra trasversale, fino a quando non inizia la siepe che
recinge i bidoni della spazzatura, che esclude ogni vista ulteriore.
Dopo un
quarto d’ora, durante il quale proseguo la lettura mentre il retrobottega della
mia testa annebbiata dal caldo e dal fumo dell’ennesima sigaretta si fissa con
desolante insistenza su questo passaggio che difficilmente potrà ripetersi, la
donna ritorna. Mi accorgo di lei quando ha già passato il breve intervallo
vuoto del cancelletto d’ingresso al condominio alla mia destra, anch’esso
aperto ininterrottamente da almeno quindici anni. La donna pedala con questa
striscia marrone che le cancella la parte mediana del viso, con la fronte e la
sommità del cranio che scivolano autonome a mezz’aria lungo un piano che sembra
puntare con decisione verso il prato al di là della curva che la strada opera
seguendo i confini del giardino, mentre le narici, la mascella e il mento
restano collegati al corpo sottostante che a questo punto mi accorgo di non
aver nemmeno guardato, come se fosse stato privato di ogni interesse
dall’impossibilità di definire gli occhi e la sella del naso. Invece di
aiutarmi a ricomporre la parte mancante, l’insieme ne è stato prima frantumato
e poi cancellato. Aguzzo lo sguardo ma la ciclista è scomparsa, non l’ho vista
nemmeno svoltare. Al suo posto resta solo la linea continua della sbarra che,
noto adesso, dalla parte che guarda verso di me è cava.
Miracoli della Caverna
RispondiEliminadi Federico De Leonardis
Nella bassa bergamasca, giù verso l'Adda, dove le case sono disperse nella campagna e non troppo alte, dove vivere in mezzo a gente che si ritrova al bar a giocare a scopone o perde la dentiera e se ne fotte andando in giro tutta sdentata, tanto i figli ti amano lo stesso, è come era un tempo dalle parti di Tebe,
nella bassa bergamasca, ripeto, lì nella Caverna, succedono a volte dei miracoli (a volte, se no che miracoli sarebbero!): passa Venere che, si sa, non è altro che un desiderio represso, che non ha niente di erotico ma è presente in ognuno di noi maschi, quell'immagine che, malgrado i nostri profondi affetti per chi ci ha sopportato una vita e verso figlie e nipoti altrettanto femmine, vive comunque nel nostro lago del cor e per la quale rident aequora ponti, placatumque nitet diffuso lumine coelum (quali sono i coglioni – il riferimento alle nostre parti basse è del tutto casuale, ma in tema – che ancora pensano che gli Dei siano morti?),
sì, dico, passa Venere, proprio Lei o per lo meno la sua possibilità in bicicletta, perché la vediamo di schiena, è anche lei una Figura di schiena, classica da quando ne abbiamo trattato lungamente in un saggio.
Ma non si sa come, trascorso qualche minuto sempre seduti comodamente al balcone con sul grembo quel noiosissimo libro (non si offendano Kafka e Grazioli che a petto di Venere anche loro sono poco interessanti), ci rendiamo conto che sta ritornando e questa volta di faccia. Lo intuiamo, lo sappiamo, lo vogliamo!
Ed ecco che avviene il miracolo: sollevando lo sguardo, mentre Lei, sempre in bicicletta, raggiunge il nostro avido e mobile orizzonte visivo e si avvicina (si avvicina!), una banalissima sbarra di ringhiera le taglia senza pietà il meraviglioso viso trascorrente.
Sparita, non c'è che da prenderne atto. Scendi pure Luigi alla sbarra del bar1: lo scopone ti attende.
Nota al testo: come facevano gli inglesi a conoscere questo breve racconto di Luigi scritto solo qualche anno fa, quando da più d'un secolo hanno cosparso l'orbe terraque di sbarre e di bar?
Grazie Federico!
RispondiEliminaSono piacevolmento sorpreso della tua sobrietà.
Ti abbraccio!