Da queste strade non è passato mai nessuno. L’aria, da sé,
ha eretto muri e inciso finestre, come tappi avvitati sull’informe. Ed è
rimasta lì, a contemplare il suo capolavoro. È auspicabile ne sia soddisfatta.
Per convincersene abbozza una corsa, che presto si esaurisce in assenza di
alcunché da sollevare. Per terra una macchia di sole si contrae e si dilata,
col movimento lento, ma a sussulti, o a spasimi, di un’ameba. L’inferriata
della finestra allude a tempi che non ci sono stati. Lo conferma, sospesa a
mezz’altezza, la base di colonna appena sbalzata che si stringe al suo fianco,
vedova dall’origine. Eppure se la cava bene, lei, tagliata netta dai contorni
che il muro ha spinto fuori pur tenendosela ancora avvinghiata, come un primo
tentativo di diastole arrestato al di qua della sistole. Per lui, invece, è
stato uno sforzo eccessivo, che l’ha prosciugato. Chissà se ne è valsa la pena.
Da allora, non gli resta che offrire un supporto alle ombre che si intrecciano
e sfumano nella luce indecisa, concrezioni istantanee del niente.
Nemmeno le case di fronte nessuno le sembra abitare.
Sfoggiano immacolate geometrie, banali paradigmi di se stesse. Gli spigoli dei
balconi sono perfetti, le imposte sono chiuse e le lampadine che pendono dai
fili bruciate ancor prima di essere usate, mentre, in alto, un destino nubile
consuma le tende mai svolte. Nel cielo le nubi si muovono in fretta, anche il
solo transitare su questo resto di idillio è irritante: di esso non rimarrà
niente. Ma intanto c’è, comunque sia. È questo il peggio. A novembre il mattino
è già freddo, eppure l’aria secca avvolgerebbe con piacere chiunque uscisse da
una porta. Nemmeno il gelo sarebbe avvertito. Invece, nel cielo chiaro, a
occidente, la testa gonfia della luna si rovescia all’indietro, con gli occhi
infossati e smarriti e la bocca semiaperta di chi fatica a respirare perché ha
appena vomitato. D’estate, in compenso, al tramonto, il sole è basso, enorme,
gonfio oltre misura, ma senza pienezza, come chi ha contravvenuto a tutte le
norme igieniche e lo sa, viòla come un iperteso reduce da un banchetto di
nozze, come un obeso in fuga. I distruttori qui non ci verranno: tempo da
perdere non ne hanno, loro.
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