29/04/16

Una grazia




Un pomeriggio si accorge di camminare sempre più spesso a occhi bassi, per la necessità di stare attento a dove mette i piedi, perché sul marciapiede, o sulla strada, lo spiazzo sterrato o il prato ci può essere di tutto, e perché tutto può arrivare, da qualunque parte, a colpirlo. Essere svagato, cioè seguire nient’altro che i pensieri, o le fantasie, gli è ormai diventato impossibile, perché pericoloso, e molto difficile fermarsi, se non per un motivo pratico, o un ostacolo o un obbligo, e anche semplicemente alzare lo sguardo verso una cosa qualunque. Si ferma e guarda solo nei momenti e nei luoghi deputati; a fantasticare o a pensare non riesce a dedicarsi se non da solo, in una solitudine ritagliata apposta o conquistata a fatica. Deve andare verso la solitudine, cercarla; e questo proprio quando ognuno è isolato come non mai, ma isolato in mezzo e assieme a tutti gli altri, che gli impediscono di essere solo, che fanno di tutto per aiutarlo a non esserlo distraendolo in ogni modo e con ogni mezzo, e richiedendogli la stessa cosa.
Così, quando poi è solo, non sa più esserlo, ne ha paura, e finisce per cercare subito qualcuno o qualcosa. Quando talvolta accetta di restare solo, è in quanto pausa, intervallo tra un prima e un dopo della cui natura, tuttavia, è in anticipo certo. Abbandonarsi all’interruzione, alla sosta, al pensare a sé e ai fatti propri, magari per ascoltare meglio la voce degli altri, per vedere meglio le cose, diventa così un dono, qualcosa che gli viene concesso dal di fuori, una grazia. E appunto come stati di grazia, indimenticabili proprio in misura della loro eccezionalità, si ritrova a viverli. Senza sapere chi ringraziare.

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