Un
pomeriggio si accorge di camminare sempre più spesso a occhi bassi, per la
necessità di stare attento a dove mette i piedi, perché sul marciapiede, o
sulla strada, lo spiazzo sterrato o il prato ci può essere di tutto, e perché
tutto può arrivare, da qualunque parte, a colpirlo. Essere svagato, cioè
seguire nient’altro che i pensieri, o le fantasie, gli è ormai diventato
impossibile, perché pericoloso, e molto difficile fermarsi, se non per un
motivo pratico, o un ostacolo o un obbligo, e anche semplicemente alzare lo
sguardo verso una cosa qualunque. Si ferma e guarda solo nei momenti e nei
luoghi deputati; a fantasticare o a pensare non riesce a dedicarsi se non da
solo, in una solitudine ritagliata apposta o conquistata a fatica. Deve andare
verso la solitudine, cercarla; e questo proprio quando ognuno è isolato come
non mai, ma isolato in mezzo e assieme a tutti gli altri, che gli impediscono
di essere solo, che fanno di tutto per aiutarlo a non esserlo distraendolo in
ogni modo e con ogni mezzo, e richiedendogli la stessa cosa.
Così,
quando poi è solo, non sa più esserlo, ne ha paura, e finisce per cercare
subito qualcuno o qualcosa. Quando talvolta accetta di restare solo, è in
quanto pausa, intervallo tra un prima e un dopo della cui natura, tuttavia, è
in anticipo certo. Abbandonarsi all’interruzione, alla sosta, al pensare a sé e
ai fatti propri, magari per ascoltare meglio la voce degli altri, per vedere
meglio le cose, diventa così un dono, qualcosa che gli viene concesso dal di
fuori, una grazia. E appunto come stati di grazia, indimenticabili proprio in
misura della loro eccezionalità, si ritrova a viverli. Senza sapere chi
ringraziare.
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