Essendo convinto animalista, ma non riuscendo a
fare a meno della carne, per la quale nutro una vera passione, non mi è rimasta
alternativa che mangiare quella degli antianimalisti, anche se poi non sono
andato troppo per il sottile quando si è trattato di procurarmela. Mica potevo
somministrare un questionario a tutti i papabili.
La passione per la carne me l’hanno inculcata da
bambino, con mio sommo piacere, e questo ha creato una dipendenza che non sono
mai stato in grado di sradicare; l’animalismo invece lo devo a una ragazza che
frequentavo ogni tanto, in gran segreto perché era fidanzata con il rampollo di
una famiglia molto in vista, poco dopo la laurea da spensierato fuoricorso. Mi
piaceva tantissimo, fisicamente (l’amore è un’altra cosa, che però non conosco:
mi fido di quanto riportano le cronache). Come si suol dire mi piaceva tanto
che l’avrei sbranata. Lei non perdeva occasione per farmi la morale sulle mie
abitudini alimentari, ogni volta che si mangiava qualcosa insieme o che si
presentava la necessità di fare uno spuntino dopo aver consumato molte energie
in attività gradevoli quanto dispendiose. Io ero renitente, ma lei sapeva usare
tutte le astuzie femminili, acuite dalla sua propensione al proselitismo.
Finché un giorno ho ceduto e mi sono deciso ad astenermi dal mangiare animali.
Lei era così felice che si prodigava in forme sempre rinnovate di
gratificazione, come insegnano gli etologi, per rafforzare le consuetudini
comportamentali. Questo non ha fatto che accrescere la mia dipendenza da lei,
la mia ossessione: avrei voluto averla sempre con me, dentro di me, e
viceversa, avevo davvero voglia di sbranarla e un giorno, nella vecchia grande casa
isolata che ho in campagna, al colmo dei nostri giochi, ho affondato i denti
nella sua morbida carne (l’interno della coscia sinistra per la precisione,
dato che mi trovavo da quelle parti), e ne ho staccato un pezzo che mi sono
messo subito a masticare, sorpreso dal gusto strano, al limite del nauseabondo
in principio, ma intensissimo, che me ne veniva. Lei si è messa a lanciare urla
altissime, che in un primo momento ho scambiato per quelle, alquanto teatrali,
che ogni tanto mi prodigava in situazioni analoghe. Allora io per farla tacere
le ho messo una mano sulla bocca e quindi entrambe al collo, dato che si
agitava come un’ossessa, finché non ho sentito più niente. Quando mi sono reso
conto di quanto era successo, per un momento sono rimasto inebetito, poi, già
che c’ero, ne ho approfittato per completare il soddisfacimento della mia fame.
Tutto è cominciato così. In modo non premeditato. Direi quasi spontaneo.
Naturale. Tanto che sono rimasto, alla fine, quasi stordito dalla sua facilità.
Poi, sazio, ho potuto riflettere con calma sulla situazione e prendere le decisioni
più opportune onde evitare sgradevoli conseguenze per me e gestire tutto quel
ben di Dio che senza volerlo mi ero trovato a disposizione.
La sparizione della ragazza è stata avvertita solo
qualche settimana dopo; lo faceva spesso di viaggiare per conto suo senza
preavviso, e c’era chi mormorava che avesse qualche amante, e naturalmente
hanno pensato subito al fidanzato, di solito sono sempre loro, ma nessuno era
mai andato più a fondo. La sua famiglia, molto abbiente, e quella del
fidanzato, ancora di più, riservatissime entrambe, scoraggiavano pettegolezzi e
indagini. Come gestivano la propria vita erano solo affari loro.
All’epoca non si erano ancora diffusi gli
smartphone, e anche i semplici cellulari erano rari. I sistemi di
videosorveglianza erano poco diffusi e la geolocalizzazione inesistente. Io il
cellulare me lo sono acquistato, e solo per affari, non prima del nuovo secolo.
Sono state fatte delle indagini, ma senza venire a capo di nulla. L’ipotesi più
accreditata è stata che fosse andata in qualche setta, di quelle a metà tra il
mistico e il gaudente che cominciavano a proliferare allora. Poi non so, me ne
sono disinteressato.
Questo però mi è servito da lezione quando si è
trattato poi di procurarmi altra carne con maggior ponderazione. Ho dovuto
curare modi, tempi e scelta dei soggetti e dei luoghi di operazione. Diventare
accorto, da spregiudicato e disinvolto che sono sempre stato. Trasformazione
che giovato anche alla mia attività. Basta deleghe: ho licenziato direttore e
amministratore delegato della ditta di famiglia di cui ero rimasto l’unico
erede e ho preso in mano la situazione in prima persona. Con crescita
significativa dei profitti, dirò senza troppo vantarmi. Ma questo non c’entra.
Torniamo al cibo. In quella prima circostanza mi
sono arrangiato alla benemeglio. Ho dissezionato il corpo con deplorevole
approssimazione, ho distribuito in contenitori e sacchetti di plastica i vari
tagli dopo averli lasciati qualche tempo nel fresco della cantina a frollare, e
poi ho messo tutto nel freezer che avevo in dispensa, servendomi all’occorrenza
di piccole o grandi porzioni che provavo a cucinare sperimentando varie
cotture, ma senza disdegnare spuntini di carne cruda. Con grandissima soddisfazione,
sia pure con qualche effetto sulla digestione e l’evacuazione nei primi tempi.
Ma passiamo. Ci si abitua a tutto, le difficoltà si superano, i piaceri aumentano.
Quando le scorte hanno cominciato a esaurirsi, dopo
aver pensato di non dare seguito all’esperienza, come periodicamente ho provato
a fare nel corso degli anni, con pause anche lunghe, ho dovuto pensare a come
rimpinguarle, questa volta senza lasciare nulla al caso. Così ho imbastito un
metodo che ho poi perfezionato con la pratica. In primo luogo si tratta di
individuare i soggetti più idonei, cercando di variare la provenienza
geografica e culturale e le diverse età e conformazioni fisiche: non sono
differenze sostanziali, un corpo è un corpo, ma come sanno tutti i sommelier,
il terreno, il clima, il soleggiamento ecc. determinano profumi, sapori, gusti
diversi per ogni zona e annata, a parte l’arte della vinificazione: ogni
bottiglia è un mondo a sé… e così è anche per la carne: un criterio decisivo
per la scelta, almeno dal punto di vista teorico. Poi però mi arrangio come
posso, senza fare il sofistico. Sono democratico. Vanno bene tutti. Infine si
tratta di decidere quali sono le parti migliori per determinati trattamenti e
modi di cucinare (cottura, bollito, frittura ecc.) e di sperimentare anche i
metodi di conservazione, con i quali ho incontrato qualche difficoltà, risolta
con grandi scorpacciate non appena mi accorgevo che il materiale rischiava di
andare a male. Meglio qualche indigestione che sprechi antieconomici, anche in
considerazione delle difficoltà di approvvigionamento. Quanto allo stoccaggio, dei
grandi freezer sono certamente indicati per il lungo termine, ma se si decide
per consumi differenziati nel tempo e nei modi bisogna studiare le temperature
e gli ambienti più idonei al trattamento e all’invecchiamento delle carni,
sotto sale, marinate, fresche o stagionate secondi vari metodi tradizionali e
etnici, che tuttavia comportano dei problemi nel trasporto, e aumento dei
rischi, oltre che dei costi nell’acquisto e nell’approntamento dei locali. Per
cui sarebbe opportuna una diversificazione dei produttori con relativi scambi
dei prodotti semilavorati o finiti. Di fatto è consigliabile che ognuno provi a
cavarsela per conto proprio, specializzandosi in poche tipologie relativamente
all’autoconsumo e alle possibilità di scambio o commercio, che per discutibili
ragioni non può avvenire alla luce del giorno, nelle macellerie cittadine o nei
mercati specializzati (ma lì qualche nicchia si riesce a crearla, purché i
prodotti non finiscano sul banco).
Poi, naturalmente, siccome non basta aver studiato
bene tipologie o candidati, una volta procurata la materia prima è necessario
lavorarla secondo i tagli canonici dell’arte della macelleria, destinare le
singole parti e organi alla preparazione più adeguata e saporita, fare le
porzioni e predisporre quanto serve a cucinare le diverse pietanze, anche a
seconda della destinazione concreta: colazione, stuzzichino, pranzo spartano, grande
bouffe, in solitudine, o nei rari casi di riunioni conviviali e festini tra
gourmet, che, come ho scoperto nel tempo, è possibile organizzare in canali
segreti e ultraprotetti, in cerchie ristrette ma più numerose di quanto si
sospetti. L’attività individuale è sempre altamente preferibile e io
personalmente mi sono concesso solo rare deroghe con tutte le garanzie del caso.
La convivialità è importante.
L’acquisizione dei soggetti avviene essenzialmente in
due modi: o ciascuno se li procaccia di persona o ricorre a quanto offerto dal
mercato, assoldando qualcuno che li procuri per lui, o acquistando negli empori
segreti: cose entrambe complicate, specie negli ultimi anni che la privacy
tanto conclamata viene violata sistematicamente e la sorveglianza di tutti e di
tutto sembra continua e capillare. Sembra: perché il modo di aggirarla si trova
sempre, con un po’ di intelligenza e un generoso esborso di danaro. Poi va be’,
una volta entrati in possesso dei corpi, se si intende fare bene le cose, è opportuno
dotarsi della strumentazione di prammatica, e magari informarsi sulle tradizioni
della macelleria sacra e profana, sui rituali e le procedure di taglio e preparazione
delle carni, che in genere hanno un loro senso anche a prescindere dalle
credenze che le accompagnano, e che a volte mi diverto a seguire, recitando le formule
appropriate o canticchiando qualche nenia, perché un loro arcaico fascino
evocativo è indubbio che lo conservano. Ti senti più elevato, spirituale,
almeno per un po’. Non è male. Aiuta.
Nella scelta e nell’approccio ai soggetti, mi aiuta
il fatto di essere una persona piuttosto gradevole, affascinante e rassicurante,
in modo spontaneo e per nulla mellifluo, e devo dire per entrambi i sessi e per
tutte le età, anche se questo non deve indurmi a comportamenti azzardati.
Meglio eccedere in prudenza che correre rischi superflui e in linea di massima
rifornirsi su territori molto ampi e usando auto diverse e anonime, con piccoli
camuffamenti in certi casi, scegliendo tra le categorie più facilmente
abbordabili in luoghi isolati: prostitut* di entrambi i sessi, bambini, vecchi,
per chi ama la carne stagionata e vuole misurarsi in prove che richiedono
particolari abilità culinarie; insomma tutte le persone delle cui debolezze è
facile approfittare o che comunque è agevole reperire senza eccessivi strascichi
dovuti alla loro sparizione. Gente debole, solitaria, senza affetti né forze,
di cui nessuno sente la mancanza già in vita.
Il problema è che questo mi costringe a muovermi in
un’area territoriale molto estesa, contrariamente alle mie propensioni
localistiche, con conseguenti difficoltà di trasporto e di logistica… tutte
cose superabili con una certa attenzione e soprattutto con un po’ di mezzi, di
cui fortunatamente sono ben fornito. Il capitale è sempre una buona base per
tutto. La creazione di una rete di interessi reciproci facilita lo scambio dei
beni e dei servizi: container via mare o su rotaie, camion con celle
frigorifere, finte società, gente specializzata in trasporti delicati… basta
non approfittarsene e non abbassare mai gli standard di prudenza e adottare per
comunicare crittazioni sofisticate. Cose noiose per il grande pubblico, ma
eccitanti, a modo loro, per chi vi si applica con lucida determinazione per il
proprio piacere e tornaconto, in modo rigoroso ma anche flessibile a seconda
delle circostanze e dei momenti. Un pizzico di avventura non guasta. C’è da
dire che non è necessario infittire le operazioni, perché una volta che ci si è
assicurati due o tre soggetti, la materia prima è sufficiente per vari mesi, a
meno di non lanciarsi in periodiche abbuffate individuali o con i già citati
banchetti riservati a cui ho sempre cercato di partecipare da invitato, ma non
sempre ho potuto evitare di ricambiare. A volte infatti mi capita di fare
banchetti solitari pantagruelici, preso dalla frenesia, dalla droga di questo
cibo così inebriante che può certamente creare una dipendenza, da cui cerco però
di difendermi con fermezza, pur concedendomi periodici sconfinamenti, come i
morfinomani del weekend di fine ottocento. Ne viene un sentimento di forza, di
onnipotenza da cui è arduo divincolarsi, ma che appunto per questo deve essere
dosato con parsimonia quando vi si acconsente e per il resto frenato in modo
risoluto. Se no uno non smetterebbe mai, fino a diventare una palla di grasso
amorfa con il naso gocciolante e la bava perenne agli angoli della bocca. Mi piace
tutto: muscolo, interiora, cervello, il cuore, i reni, spalla e coscia per i
bolliti o brasati, le carni morbide di bambini non ancora svezzati o svezzati
da pochissimo facilmente reperibili nei paesi molto poveri o scarsamente
morali… oppure dure, fibrose, che necessitano di lunghe frollature e cotture, o
di complicate operazioni di salatura o di essicazione o marinatura…. I metodi
di dissanguamento, di dissezione e conservazione e gli usi dei vari popoli sono
stati una scoperta che ha ampliato di molto il mio bagaglio culturale e i miei
confini mentali, che, a dispetto delle mie convinzioni, si sono rivelati di
sconfortante ristrettezza e provincialismo. Anche la preparazione dei
manicaretti deve essere quella più adatta ai tagli e alla provenienza: una
certa liturgia a volte porta a grandi soddisfazioni, per quanto lo sbranamento
feroce diretto possa risultare estasiante ai limiti della follia. Niente a che
fare con trasporti religiosi però. Solo chimica, ma potentissima, per me. Che
altro c’è?
I momenti più belli sono quando, una volta
acquisito il corpo (sui cui metodi in questa occasione non intendo entrare nei
dettagli, non è difficile immaginarli; dirò solo che il soffocamento resta il
mio preferito: è il più igienico; così come non mi dilungherò sul noioso ma
fondamentale corollario dello smaltimento di carcasse e organi e parti non
edibili, abiti e documenti e cellulari… per cui ho elaborato tutta una serie di
ingegnose quanto faticose procedure che tuttavia, lo confesso, sono state anche
fonti di soddisfazioni professionali) e ripulito e disinfettato accuratamente
ogni cosa e locale, indosso il camice o il grembiule e mi appresto a cucinare. Disposte
attorno alle pentole come tanti chierichetti tutte le sostanze sul piano di
lavoro, le verdure che sono andato ad acquistare al mercato il mattino o nei
negozi dove posso trovare i prodotti migliori, i vini, l’olio, le spezie,
ciascuna nella sua ciotolina, finalmente posso dedicarmi al cerimoniale della cottura,
curando minuziosamente ogni passaggio, dalla regolazione dei fuochi al dosaggio
dei liquidi e degli ingredienti, agli assaggi, e a tutti gli aggiustamenti che
conducano al confezionamento di piatti perfetti. Sarò un sognatore, ma sono
momenti in cui mi sento, in tutto e per tutto, un artista. Come se solo allora portassi
a compimento il mio essere profondo.
Sono ore di grande gioia in sé e per sé, a cui si
aggiunge la prefigurazione dei momenti futuri in cui, senza altri sforzi, potrò
dilettarmi di tutte quelle leccornie che mi portano così spesso alle soglie
dell’estasi, se non oltre, fuori da me stesso pur essendo in quei momenti più
me stesso che mai, attraverso il processo di introiezione e assimilazione di
qualcosa che pur essendo solo fisico, diventa anche spirito … perché di fronte
a ciò che venuto da fuori si rielabora e trasmuta nel lavoro e nel consumo, si
instaura una certa forma di sacralità, un rispetto… per cui a volte gli stessi preparativi
diventano una forma di preghiera: quel ronron di invocazione, e di offerta, di
invocazione di perdono e insieme di ringraziamento che riassume il termine
preghiera, quell’intimità a se stessi che è intimità a ciò che si sta incorporando…
soprattutto quando si è soli, mentre quando si è in gruppo è facile che
l’entusiasmo si trasformi di orgia, uno spossessamento tutto e solo terreno,
una celebrazione della materia al suo massimo grado, che è stata vivente e
torna a essere viva nel momento viene a vivificare i nostri corpi.
Alcuni condiscono questa pratica con una serie di implicazioni,
simboli e frenesie fisiche e mentali derivate da convinzioni e superstizioni
religiose, misticismi e patologie psichiche, o procurati da sostanze varie e da
autosuggestione. Tutte cose che non mi fanno caldo né freddo, esclusi rari casi
in cui mi lascio contaminare da questo disordine e mi scateno anch’io: ma è più
per gioco, perché dà piacere e gioia, e in fondo è utilitaristico, come lo
sarebbe anche senza tutti questi ricami. Io sono sempre stato e resterò, fin
che possibile, razionale. Niente aloni fantasiosi. Niente miti. Solo cose
basilari: fame, cibo, gusto, sapore, godimento, acquisto, perdita, energia,
dispendio. Sono un uomo ordinario, che ama la routine operosa, nella quale
rientra ovviamente quanto richiesto dalla necessità di procurarmi il cibo
preferito. Per il resto niente mi distingue dal classico ingegnere, competente,
amabile, efficiente e generoso con i pochi conoscenti e i molti dipendenti.
Solo un po’ distaccato. Un po’ solitario, perché siccome il lavoro mi porta a
contatto con molta gente, per il resto preferisco non averla tra i piedi.
Consuetudine che peraltro ha contribuito a non creare sospetti sui miei
comportamenti. Nessuno ha mai avuto niente da ridire, che io sappia.
E così mi auguro di poter continuare ancora a
lungo.
Quando sarò stanco di vivere, o penserò che sia
venuto il mio momento, convocherò tutti gli amici più cari, i sodali di tanti
incontri, scambi e banchetti e mi offrirò loro in pasto. Non per espiazione, ma
come forma di restituzione, certo non ebbra, serena se non proprio gioiosa,
nella logica che meglio conosco: quella del dono, quale ogni pasto è stato per
me. Saranno loro a decidere come, senza possibilmente farmi troppo soffrire, a
meno che non si concordi tutti assieme una specie di cerimonia di chiusura,
come quelle che concludono i convegni o le grandi rassegne sportive, per
definire ogni dettaglio delle procedure, in modo che trovino il massimo
gradimento possibile, e anche qualche pianto, perché no?, un po’ di
sentimentalismo ce lo si può concedere in queste circostanze, e persino del
dolore, che è parte del piacere, e può essere piacere a sua volta… e che per me
sia il definitivo rito di passaggio, una sorta di assunzione in cielo, di profana
santificazione. Senza falsa modestia, credo di meritarmelo.
