Sono,
spesso, l’entomologo di me stesso; mi guardo, tranquillo, e il più delle volte
senza interesse, mentre svolazzo qua e là, intento ad attività che potrebbero
benissimo non avere alcun senso come anche averlo, spesso beato, talvolta
impaurito: lo sa, se mai lo sa, solo quello che vola, non chi guarda; mi
sorprendo della mia serenità, che forse nasconde qualcosa e forse no, e della
compostezza che raggiungo quando giaccio, infilzato da me stesso o forse da
nessuno, sul vetrino. Solo allora qualcosa scuote l’osservatore; ma non è
interesse: è, aberrazione!, invidia. Mi invidio.
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