27/09/17

Stile? (un appunto provvisorio)



… che poi è verissimo che quel che conta, lo stile o comunque lo si voglia chiamare, è se si ha qualcosa da dire: si tratta di vedere che cosa è la cosa che, o su cui si ha da dire. Lo stato del mondo o dell’umanità; cosa è bene e cosa è male; o lo stato di quel tipo o oggetto o relazione in quel dato momento e luogo, e cosa pensa o fa, o su una papera, o un albero o un sasso, quello lì proprio allora, o prima, o cosa prevede di fare, o altro, dopo.
“Qualcosa da dire” per me e buona parte della mia generazione suona tanto “messaggio”, “idea di fondo”, “contenuto”. E lo stesso suona il discorso che misura il “cosa” da dire dal suo peso, di qualsiasi tipo esso sia: politico, morale, filosofico ecc.
Se qualcuno è in grado di parlarne in modo che non prevalga sul resto, ha tutta la mia ammirazione. Ma è così difficile… impossibile, o quasi (e il “quasi” lo aggiungo per non cadere nello stesso difetto che qui segnalo). Perché quel che conta non è ciò che uno sa e ha da dire (da insegnare: perché trasmettere è insegnare), ma quanto sa imparare, quanto è disposto a imparare, dagli altri, dal mondo, ma anche da ciò che lui stesso è, e fa, e diviene, senza saperlo (senza saperlo prima, una volta per sempre): quanto e come, nei modi in cui già si trova immerso ancor prima di cominciare, in quelli che gli sono offerti e che lui stesso scopre, inventa e tenta. Come, per esempio, scrivere. (Cosa e come è importante, ma non qui.)

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