Mi piace il parlare e lo
scrivere diretto, con la minore incidenza possibile di metafore e traslati
vari, dove la parte di artificio è tutta devoluta alla sintassi e al ritmo. O a
ciò che le parole dirette mascherano, o nascondono, e soprattutto tacciono. D’altra
parte, come dice George Steiner (Morte della tragedia, 57), “c’è
anche una poesia dell’esplicito”, tanto più che anche laddove è più marcato e
sembra occupare da solo tutta la scena, non c’è niente di così flagrante, e
compatto e trasparente, che non celi in sé qualcos’altro e non proietti una sua
ombra. Non si parla senza immagini. (Qui l’esempio.)
(citato da questa edizione)
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