IL PRESENTATORE-MIMO
Da dire su di me non ho
un bel niente:
se penso a me, mi si
offusca la mente.
Poiché tuttavia non
faccio che questo,
passo i miei giorni
inebetito e mesto,
né il tempo potrà
aggiungere uno iota
alla mia essenza, che è
fasulla e vuota.
Per conto mio non saprei
fare un gesto,
né provar nulla o cantare
una nota:
sono un’operazione a
somma zero,
non sono, non sarò e non
sono stato.
Vorrei, ma neppur sono, a
dire il vero,
l’assenza in qualche
posto del creato.
Perciò mi affanno a
raccoglier le scorie
lasciate dagli altri al
loro passaggio,
e nel raccoglierle trovo
il coraggio
di esser qualcosa e,
cucendo le storie,
vestire il
nulla di finte memorie.
BALLERINA
Alla ballerina fate
attenzione
che di danzare ebbe la
vocazione
a diciott’anni, quando
dalla scuola
venne cacciata senz’altra
parola.
Con scarso profitto la
terza media
allor frequentava, come a
commedia:
ben poca voglia aveva di studiare,
eppure a scuola le
piaceva andare;
prof e compagni l’amavano
tutti,
lei ricambiava con tutta
se stessa,
che fossero belli o
fossero brutti.
Piangeva la scuola triste
e dimessa,
quando, nel sole di un
giorno d’aprile,
a causa di una fama
immeritata,
dovette lasciare il dolce
cortile,
tempio di gioia ricevuta
e data.
Adesso volteggia su
questa pedana,
ancor generosa, la
presunta putt...
E’ falso che a scuola mai
niente s’impara,
è sempre la vita, poi, ad
essere avara,
ma quando hai appreso a
far l’altro felice,
fosse pure una volta, a
tutto ti adatti,
la ballerina come la
meretrice,
in casa, per strada, o in
questa gabbia di matti.
IL PUGILE
Adesso attenzione, vedo
che avanza,
in tutta la sua statuaria
prestanza,
muovendosi come in un girotondo,
il pugil gentile, atleta
che danza:
è il messicano campione
del mondo,
il grande Quiroga, nome
preclaro!
...o Figueroa? adesso non
mi è chiaro...
Nato e cresciuto in una
città maya,
di animo dolce, ma
incline a sognare,
dovette un giorno, sfuggendo
la naja,
clandestino in America
emigrare.
Ma il tristo destino,
mordace padrone,
lui che tutto voleva,
eccetto che il male,
costrinse per fame a
impugnare il guantone,
riempiendo di bestie
ululanti le sale.
ARLECCHINO
Arlecchino è un bambino
non cresciuto
né del tutto contento
d’esser nato
ma disposto a farsene una
ragione
senza frignare né
chiedere aiuto
o scusa, da perfetto
mascalzone,
sicuro di non esser
condannato
davanti al tribunale del
creato.
Appena licenziato dal
padrone
ha passato un momento
disgraziato:
il poveretto se ne stava
muto,
triste e sbandato, da
vero coglione,
come se il mondo gli
fosse caduto
addosso con malevola
intenzione.
Poi s’è guardato attorno
ed ha veduto
che, senza moglie e figli,
abitazione
e stato, si trovava
liberato,
e un giorno, di passaggio
a Racalmuto,
proprio davanti al nostro
cartellone,
di colpo, con sollievo ha
realizzato
d’esser dal lato aperto
dell’imbuto.
Tutti i disegni sono di Aldo Spoldi
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