Guarda tutto con occhi avidi, timoroso che qualcosa possa sfuggirgli, e non solo il particolare più o meno curioso, ma anche il comune e l'identico, come interrogando un reticente che si lascia sfuggire qualcosa di importante proprio nel modo in cui tace o devia dall'interrogazione, quasi che tutto sia portatore di un significato tanto evidente da sfuggire all'attenzione. Ma in questa attenzione concentrata gli sfugge tutto, come se sconfinasse nell'allucinazione, perché la successione lo trascina in un dimenticare che si ignora, nel quale il dimenticato non ritorna mai, trovando sempre ogni posto occupato da qualcosa che subito è destinato a raggiungere la sua tombale compagnia. Fortunatamente talvolta è lo sguardo medesimo a interrompere questa catena di distruzione: se il suo fuoco è sempre evidente nella sua immediatezza ("Ah, le cose stanno proprio così!", si meraviglia), talvolta ai suoi margini si insinuano movimenti strani, figure inaspettate che fanno capolino e subito di dissolvono non appena tenta di focalizzarle, accenni di eventi in qualche modo minacciosi che annunciano il loro poter-essere e, soddisfatti del solo annuncio, si adattano a loro volta all'immediata tranquillità e paciosità dell'evidenza, o della scomparsa, non appena gli occhi si spostano dalla loro parte. Non ci sono più, ma anche ciò che ora viene visto comincia a venir meno: lo sguardo intravvede la propria disfatta, e se quasi sempre reagisce incollandosi a nuovi oggetti, in altri casi vi si abbandona con sollievo, cullato dalla nuova attenzione alla quale ha lasciato spazio, senza curarsi della sua provenienza.
Lorenzo Lotto, Ritratto di gentiluomo, dettaglio (non è di lui che si parla qui, però...)
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