Alzare la testa (altri appunti su camminare ripresi e aggiustati)
Quando si cammina, alzare la testa è la cosa più
bella.
Non sai a cosa vai incontro, cosa verrà ad aprirti gli occhi e i sensi, a
spalancarli, a sorprenderli. Ma non sai nemmeno cosa porti con te, cosa
estrarrai dalla tua bisaccia quando, alla cieca, vi affonderai le mani, ogni
volta che ne avvertirai l’impulso, o il bisogno, ogni volta che ciò che
ignoravi, venendoti incontro, te lo richiederà.
Camminare, quindi, con la stessa attenzione fluttuante dello psicanalista.
Finché qualcosa arriva e la accogli.
Dire, come Eva, “Sì, albero, serpente, cielo”. “Sì, mela!”, come conferma
allungando il braccio a coglierne una dal ramo carico che pende sopra di lei.
L'accoglienza è sempre seconda. E' la ripresa a dare esistenza. Mette tutto in
circolazione, toglie le cose dalla loro solitudine, dall’informe in cui si
perdevano e confondevano con tutto il resto, e le accoglie nella vita, così che
esse stesse, pur restando ciò che sono, e anzi cominciando finalmente a
esserlo, possano a loro volta accoglierci, e noi trovare, presso di esse, una
sede, un rifugio, accucciarci alla loro ombra, sostenerci al loro corpo,
inciampare nel loro enigma, cadere nei loro tranelli, e lì giacere. O
sollevarsi, salutare e andare.
Fusione, afflato, trasporto, empatia, pienezza, vuoto, serenità, quiete, quella roba lì. Molto bene. E ora passiamo ad altro.
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