E’ fatto male e non gli sta bene, dice.
Forse non è colpa sua, ma certo non lo è nemmeno
degli altri. E infatti lui non li incolpa. Non si accetta, tutto qui.
E perché mai dovrebbe farlo? Forse che
accettandosi sarebbe fatto meglio? No, darebbe solo il suo assenso a qualcosa
che è fatto male, e questo sarebbe un male ulteriore.
Forse che gli altri sono fatti meglio, gli chiedo?
E’ poco probabile, risponde, e comunque non sono
fatti suoi e non cambia la sua situazione.
Solo gli stupidi se la prendono con gli altri, e
lui non lo è fino a questo punto. Se lo fosse, forse le cose non si dice che
andrebbero meglio, ma certo lui si accorgerebbe di meno che vanno male. E
invece no, non ha nemmeno questa magra consolazione. Un vero peccato.
Ragion per cui non gli resta che prendersela solo
con se stesso. Cosa che però contribuisce a renderlo ancora peggiore di quanto
già non sia.
Che fare dunque? In apparenza ha due possibilità:
o negare del tutto se stesso, decisione di cui è incapace per una debolezza che
è parte del suo essere fatto male; o negare gli altri, azione ben più
fattibile, la cui stessa facilità non è però che l’altra faccia dell’incapacità
precedente, quindi l’ennesima conferma del suo essere fatto male.
Per negare gli altri basta poco: sapere che sono
fatti male anche loro è più che sufficiente. Verificare che lo sono è ancora
più facile: nessuna evidenza supera quella della loro imbecillità. Anche senza
scomodare le loro presunte idee o il complesso delle loro azioni, una parola
orecchiata, un semplice gesto, l’espressione che assumono quando credono che
nessuno li noti, il poco che vogliono e il meno che li colma bastano e
avanzano. L’idiozia ingravida l’aria più di qualsiasi batterio; non appena una
bocca si socchiude, a cavallo del più flebile respiro ne fuoriesce una ventata
capace di saturare gli spazi interstellari. Ammesso che già non lo siano.
Se fosse fatto meglio, questo dovrebbe indurlo al
sorriso, come sto facendo io, dice fissandomi negli occhi, o lasciarlo
indifferente (meglio): invece è fatto talmente male che prova insieme pena e
insofferenza, entrambe in misura limitata però.
Non è possibile, si dice allora: alla lunga anche
il troppo poco finisce per diventare troppo, e quando è troppo è troppo.
Finalmente si incazza. (Passa subito, comunque.)
Davanti a me c’è solo la merdosa morte, conclude fuori tempo massimo.
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