Mi
telefona il mio psichiatra in preda a una crisi d'ansia. Quasi non riesce a
parlare, respira con affanno e si lagna. Impreca. Farfuglia. Scaglia nel
microfono fonemi allo stato puro o in piccoli grumi, aspirazioni araboidi, grattacieli
consonantici slavi, lallazioni, brandelli di sintagmi nominali, radici verbali
senza desinenza, desinenze sradicate. Ci sa fare col linguaggio! Mi sembra di
vedergli le vene del collo gonfiarsi, i capillari sulle guance e nell'iride che
esplodono, che lo imporporano. Come un cardinale. Il portamento e la stazza li
ha già. Gli chiedo di raccontarmi cosa è successo, facendosi capire possibilmente.
Mi piacciono le storie. A patto che siano lineari e comprensibili, però. Ha
perso la strada, per l'ennesima volta! Non arriverò mai..., quasi mi urla; io
torno indietro! Rinuncio! L'ansia lo avvolge, lo stritola. Rotola verso il
panico, ormai sull'orlo del declivio, ripidissimo, vogliosa di precipitare, di
gettarsi a capofitto giù nella paralisi, nell'apnea. Per trovare pace almeno
lì. Un freno, se non altro. La calma della rigidità. Basta, se no gli rubo il
mestiere.
Mi
provo a farlo ragionare, una cosa per volta. Partiamo dall'abicì. Dove sei?
Come hai fatto a arrivare lì? Un po' di anamnesi non guasta. Magari lo calma.
Il ricordo come terapia! Dovrebbe essergli familiare. Invece niente. Funziona
con gli altri, i pazienti. A lui vengono in mente solo le altre volte che ha
sbagliato strada e comincia a raccontarmele, una per una, tutte!, con il loro
bel condimento di libere associazioni. Il regesto completo degli smarrimenti.
La mia vita come naufragio. Tutto questo mentre sta guidando. E io non so
ancora dov'è. Lo aspetto con la mia borsa da viaggio all'uscita dell'autostrada
e minaccia di piovere.
Inutile
insistere, è agitatissimo, specifica, come se non l'avessi capito da solo;
sbatte tutto, respira male. Allora gli ordino di calmarsi e di accostare, con
un tono che non ammette replica. Mi concedo anche un cazzo! rafforzativo.
Quando ne ho l'occasione non me la lascio sfuggire. Non mi dispiace il
turpiloquio, ma sono troppo educato per farne uso. Mannaggia! Smettila, c.zo!,
e dimmi di preciso dove sei che ti guido io.
Finalmente
ci riesce. E' fuori di appena venticinque chilometri, sull'autostrada
sbagliata. Niente di grave. Sempre che non si metta a diluviare. La cosa più
semplice sarebbe farlo tornare indietro fino al punto dove ha sbagliato
l'imbocco, ma è uno svincolo multiplo e complicato, e temo che giunto lì, vista
anche l'indicazione di casa non mi torni indietro per davvero. Più che
rinunciare al viaggio mi scoccerebbe farmi venire a prendere. E i commenti.
Non
posso rischiare che faccia dietrofront. Difficile sapere cosa passa per il
cranio di certe persone. Frequenta gente stramba, giorno e notte, per lavoro e
diletto (è anche scrittore, e la moglie, che ora immagino irrigidita e
silenziosa al suo fianco, poetessa: figurarsi!), e non serve a nulla che eriga
difese su difese, che cerchi scappatoie e deviazioni: rischia sempre di diventare
come loro; e mica uno solo, con una o due, o tre, identità; no: tutti!, con il
peggio di ciascuno. Lui dice che lo fa apposta; ci gioca, finge. L'arte! Razionalizza,
ovvio. Perché poi le uniche deviazioni che trova sono quelle che imbocca per
sbaglio quando si mette in viaggio. Ogni sacrosanta volta. Per questo si sposta
solo con i viaggi organizzati, o se ha qualcuno che lo accompagna o attende.
Che qualcuno, almeno allora, pensi per lui! Che lo guarisca dalla pena, e dalle
incertezze, del guaritore. Che gli apra una via di sfogo. Un varco (è ligure). Psichiatri
in fuga! Una citazione. Una modesta proposta per un kolossal hollywoodiano. O
un ancora più modesto progetto woodyalleniano. Marxiano, anche: nel senso di
Groucho. Il mio psichiatra fuma il sigaro come lui, del resto. E come Sigmund,
certo... E ha i baffi, come Groucho. Ma anche il pizzetto: sempre come Sigmund,
per non farsi mancare niente. Con tutto che è un eretico di quelli che manco si
premurano di scusarsene. Un deviante!
E
si perde ogni volta. Si agita, va in ansia, in panico quando è particolarmente
in vena (oggi non ancora per fortuna: l'ho preso per la collottola un attimo
prima); e si perde. E non si calma. Allora gli rifilo un ceffone via etere. Facciamo
due, per sicurezza. Per gli amici questo e altro. Lo minaccio e lo
tranquillizzo. Con questa tipologia è consigliabile un comportamento elementare.
Niente ambiguità soprattutto. Gli ordino di darmi ascolto. Silenzio! E guai se
torni indietro! Ti insegno io un percorso alternativo. Tranquillo, ti guido io passo
per passo. Intanto guardo il cielo che si fa sempre più scuro. Fingo di non
sentire gli strombazzamenti e i commenti di camionisti. Alcuni mi chiedono la
tariffa. Bestie! Faccio tutto gratis, io! Gli chiedo (al mio psichiatra) di leggermi
i primi cartelli che incontra fuori dall'autostrada e gli do le prime
indicazioni. Poche alla volta e molto chiare. Resta sulla statale e alle
rotonde segui sempre l'indicazione della mia città, senza farti tentare da
segnalazioni alternative per altre strade. Si può arrivare in tanti modi, ma tu
segui me, non abbandonare la via principale anche quando i cartelli
suggeriscono altri percorsi. E qualsiasi problema, chiama subito! Che io cerco
di capire come togliermi da qui e andargli incontro in un posto facile da
raggiungere. Ma questo mi guardo bene dal dirglielo. Fossi matto! Intanto trovo
un passaggio. E subito comincia a piovere.
Mi telefona dopo 5 minuti convinto di essersi
perso ancora. Smozzica le parole, alterna bassi e alti, sordine e vibrati,
spezza il ritmo e varia i toni con discorso sincopato, ora. E' un patito del
jazz. Un'altra delle sue sfaccettature. Delle sue tante sfaccettature.
Tantissime, che vanno tutte in direzioni diverse. Pure loro. Che forse non sono
nemmeno sfaccettature, ma frammenti, detriti sparsi di nessuna unità. Per
dire... No, vai benissimo, lo rassicuro, anche se non è vero perché stava
davvero per perdersi di nuovo, e aggiorno i comandamenti per tornare sulla
retta via, e per i dieci km successivi. Se supera quelli è fatta. Poi la strada
è tutta dritta.
Dopo
3 (tre!) minuti, mi chiama di nuovo, e fortuna che non ha esitato, perché stava
rischiando un'altra deviazione. Lo guido passo per passo col cellulare, mentre
lui guida l'auto e altre voci cercano di guidarlo altrimenti. Ascoltare le
voci, in particolare le voci di quelli che sentono le voci, è la sua passione. Con pochi aggiustamenti lo riporto nella
giusta direzione, e finalmente posso dargli
le ultime indicazioni e chiudo. Prima di ringraziarmi, però, ci sarebbe un
ultimo favore: prenderlo a pugni in testa non appena arriva. Non chiedo di
meglio. Anche a nome dei suoi pazienti.
Quando
arriviamo in Germania, è la disinvoltura fatta persona. Si guarda attorno
professionale. Ma anche pacificato, carezzevole. Osserva. Scruta. E poi analizza.
Anatomizza. Classifica. Riconosce e confronta. Diagnostica volti, cose,
paesaggi. Diagnosticherebbe anche le nuvole, se ci fossero. Invece splende il
sole, qui. Il cielo è perfettamente sereno, come il nostro umore. Il suo più di
tutti. E il traffico è scorrevole. La meta già in vista, nessun errore
possibile. Guida senza incertezze. Qui sì che le segnalazioni sono chiare!, proclama.
E non sa una parola di tedesco.
simpatici, eh? e hanno pure la sfrontatezza di volermi bene (ricambiati)
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