Le immediate adiacenze delle stazioni
ferroviarie, non solo i binari morti, ma il prolungamento nel territorio
circostante, specie nelle piccole città e nei paesini; i margini dove la
vegetazione cresce rigogliosa, incontrollata, fino a ricoprire tutto: palizzate,
recinzioni, terrapieni e ogni fazzoletto di terreno vago; i vagoni e le motrici
parcheggiati su qualche binario e lasciati lì a disfarsi lentamente,
sbriciolati dal tempo e dalla ruggine; le casematte sfondate, senza porte né
finestre e solo residui di tetto, pannelli di eternit, tegole a chiazze che
ancora resistono sulle travi spezzate delle capriate; i magazzini e i depositi
vuoti, abbandonati da decenni, dai serramenti gonfi di umidità, deformati e
semidivelti, con quasi tutti i vetri rotti, anche quelli più alti,
irraggiungibili, non si sa perché né da chi (o basta il tempo, e così poco, a
distruggere anche i vetri?); e poi le pareti di verde, quasi gallerie senza
volte, che accompagnano l'uscita dalle stazioni, finché la città e le campagne si
aprono, e, con essi, il cielo.
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