(Per 35 anni sono andato a scuola più o meno all'alba, sempre lungo
strade in mezzo ai campi. Non mi sono mai stancato di guardare il cielo e
il paesaggio. Ogni mattina una piccola meraviglia. Sono un uomo
semplice, mi accontento di poco: dell'universo. Alla fine, ogni tanto,
nei 5-10 minuti mentre aspettavo sul ciglio del viale verso la scuola i
colleghi milanesi a cui davo sempre un passaggio, mi è venuta voglia di
descriverne qualcuna. Per mio promemoria, perché a breve sarebbe
arrivata la pensione e la routine sarebbe mutata. Questa è la seconda serie. Stavolta però scritte ai semafori
o prima di salire in classe, tanto in fretta che non sempre riesco a decifrare
la scrittura)
*****
(Quest’anno, l’ultimo della mia vita di
insegnante, ho cambiato tragitto per andare a scuola. La strada che ho percorso
per trent’anni, che deviava verso il Badalasco un km dopo l’uscita del paese,
è diventata sempre più impraticabile per il moltiplicarsi dei rallentatori che
l’hanno trasformata in un percorso a ostacoli. Ora sono almeno una dozzina in due
km, alcuni molto alti, che costringono quasi a fermarsi. Viceversa l’imbocco
della provinciale nella statale, un paio di km più avanti, che in passato
generava file lunghissime e lentissime a sciogliersi, specialmente nelle ore
del primo mattino, è stato reso molto più fluido recentemente da una grande
rotatoria, una volta tanto benedetta (la moltiplicazione delle rotatorie,
successiva a quella dei rallentatori, è la fissazione più in voga dei nostri
amministratori: sono spuntate ovunque come funghi, perlopiù con stessa mancanza
di criterio). Quindi ci sono paesaggi diversi, che da tempo mi sono ripromesso
di descrivere nel dettaglio, con la storia dei cambiamenti che hanno subito
dalla mia infanzia. Un giorno o l’altro lo farò, spero. Anzi, mi impegno. Meglio,
già che ci sono la abbozzo subito. I dettagli, ciò che conta, seguiranno.
Qui di seguito questi paesaggi restano
impliciti, o emergono a frammenti, che messi insieme già ne danno una discreta
idea. Ma ci sono molte cose da dire. Mi viene in mente, ora, tanto per fare un
esempio, il ciglio del fosso che costeggia il lato sinistro del rettilineo
prima della cascina Taranta, detta Il Palazzetto (direzione Cassano-Treviglio),
che per me e Angela è l’indicatore più attendibile, e atteso, dell’arrivo della
primavera quando si riempie di fiori di San Giuseppe. Sulla destra di questo
rettilineo, verso l’Adda ci sono prati che digradano, poi la macchia del
boschetto percorso dalle risorgive che arriva fino al fiume, e più avanti le
vasche per l’itticoltura, ai cui margini anni fa sono comparsi i primi aironi.
Dopo la rotatoria inizia un rettilineo di oltre
tre km che sale leggermente alla fine e punta verso il campanile della Basilica
di San Martino, situata in centro città. L’orientamento è Ovest-Est, per cui,
grazie anche ai cambiamenti dell’ora legale, ho il sole negli occhi per la
maggior parte dell’anno scolastico: appena sotto o sopra l’orizzonte o un po’
più alto, e nel suo spostamento da est a sud-est e da qui nel suo ritorno verso
nord-est, con il mutare delle stagioni.
Ai lati della rotatoria due ristoranti, uno
popolare, l’altro un po’ più pretenzioso, trasformato in pub, con parcheggi
sterrati; di fronte c’è una grande cascina e subito dopo, sulla sinistra,
un’altra. Sulla destra alcune villette, poi dei campi, interrotti da un numero
crescente di capannoni, che invece sulla sinistra iniziano subito dopo la
cascina e vanno avanti per un km almeno.
Una volta erano solo campi fino a Treviglio, con
qualche costruzione isolata, un paio di cascine molto belle (una a metà
rettilineo, sulla destra, in progressiva decadenza; l’altra, di fronte a
questa, più piccola e meglio curata, in fondo a un viale sterrato con qualche
albero su un solo lato: alberi abbastanza recenti... devo controllare), con le
prime abitazioni e fabbrichette solo alla periferia della città. Bei campi,
piuttosto grandi per le nostre parti, con pochi e discontinui filari alberati a
scandirne i confini, al contrario di quelli della strada bassa, peraltro più
mossa e con diversi cambi di visuale e di profondità quindi. Invece qui,
l’unione dei questa relativa vastità e della continuità rettilinea della
statale, con la sua fuga prospettica accentuata dalla salitella finale che alza
l’orizzonte e dal campanile che si staglia sul punto di fuga, offre allo
sguardo un respiro più ampio. Lo offre ancora, nonostante la recentissima
metastasi di cemento che quest’anno ho visto crescere giorno dopo giorno sotto
i miei occhi. (Anche la strada del Badalasco è cambiata, soprattutto una
ventina di anni fa, poi c’è stato un notevole rallentamento. L’unica a non
essere cambiata di una virgola in tutti questi anni è quella della Geromina:
cioè, la Geromina si è ingigantita, ma tutta dalla parte di Treviglio, prima
della curva che mette sulla strada verso Pontirolo e, dopo la svolta del Ponte
Vignola, verso Canonica a destra e Fara a sinistra... Ma questa strada, la mia
preferita, è protagonista di molti miei racconti.)
29-09-08
Cielo sereno. Il sole è alto, rosso e grande,
sopra il campanile del duomo di Treviglio, ma la luce è insufficiente a
riconoscere i dettagli nelle masse stagliate sullo sfondo in blocchi separati.
Sui campi c’è come un velo di buio residuo, un’ombra che viene dall’interno, o
sta per esservi assorbita. A metà del rettilineo, quando comincio a vedere la
strada che sale, in fondo, proprio nel punto in cui le file dei platani sulla
sinistra e delle prime case sulla destra sottolineano il restringersi della
prospettiva, il punto di fuga è occupato da una macchia sospesa sull’asfalto.
Un’esplosione rosa bloccata da un fermo immagine. E’ la prima nebbia. O
piuttosto la guazza, alta, che viene dai campi, che solo lì ne sono invasi. La
attraverso lentamente, più per il piacere di soggiornarvi che per problemi di
visibilità, ma sparisce in poco tempo. Dopo 500 metri, la nube, ora con
sfumature aranciate, si ripresenta, molto intensa per tonalità ma poco
profonda, quasi un velo, che squarcio in un attimo per ritrovarmi accecato, il
sole dritto negli occhi fino alla curva dove inizia la città.
30-09-08
Stamattina pensavo a tutti i cieli che ho
dimenticato.
04-10-08
Stamattina, uscendo di casa, ho visto una vicina
che saltellava in mezzo alla strada e si sfregava le braccia per difendersi dal
freddo. In macchina ho visto che il termometro segnava 6 gradi. Non ci ho fatto
molto caso, pensavo ad altro. La vicina indossava solo una giacchetta. Poi, sul
rettilineo per Treviglio, mentre fissavo l’orizzonte davanti a me, con gli
alberi che coprivano momentaneamente il sole, e, sopra, il cielo terso, e poi,
a sinistra, le montagne illuminate, la coda dell’occhio mi ha segnalato
qualcosa di insolito: un campo bianco. Ho guardato meglio. Orai ero nel punto
in cui la campagna è più aperta e ho notato che tutti i campi erano bianchi.
(Strano che non ci avessi fatto caso nel tratto tra Fara e il Palazzetto. Forse
ero ancora soprappensiero.) Era la brina!
La brina il 4 ottobre? Non mi ricordo di averla
mai vista così presto. E mi meraviglierei, se l’avessi vista, di averla
dimenticata, e, più ancora, di non averne preso nota se ci fosse stata.
Non sono sempre soprappensiero. E comunque mai
così a lungo e intensamente (ahimè! – Ahimè? Per fortuna!).
(E’ come il –5 di un inizio novembre di molti
anni fa che ho subito registrato e poi inserito in un raccontino.)
13-10-08 10 gradi
Fuori paese la strada, sulla destra, è sorretta
da una massicciata che la separa dai prati che digradano verso il fiume. Il
dislivello è di pochi metri ma basta a dare una visuale sopraelevata, scandita
dagli scalini della vegetazione che delimita i vari appezzamenti e un paio di
stradine sterrate. Stamattina i prati erano coperti da una coltre di guazza
abbastanza densa da impedire di scorgere l’erba sottostante. Gli alberi, nella
luce scarsa, si stagliavano netti e scuri, con le sole chiome. A tratti si
intravedevano fusti di granturco. Vicino non si vedeva niente.
Sulla sinistra, la guazza era leggera, alzata da
terra solo in lontananza.
20-10-08
Il cielo è coperto, grigio scuro. La coltre di
nubi è screziata dalla debole luce che pervade gli strati esterni
dell’atmosfera. Man mano che procedo schiarisce, anche se l’alba è ancora
lontana, o forse vicina e solo schermata dalle nubi. I solchi di luce
biancastra disegnano il cielo di una trama come venosa, di sangue anemico però,
esausto. O di cicatrici.
08-11-08
Mattino meraviglioso. Fresco e sereno.
Appena uscito da casa, sopra la nebbiolina che
inizia a qualche centimetro da me ispessendosi man mano fino a avvolgere la
prima fila di alberi e cascine per poi nascondere tutto il resto, vedo le
montagne azzurre a Nord.
Sulla provinciale, direzione Nord-Sud, la
campagna sulla destra, verso il fiume, è bellissima, con la boscaglia scandita
in fondali tutti diversi secondo la distanza e la densità dell’atmosfera. Poi,
di colpo, verso Sud, dietro di essi si erge una parete grigio-viola, compatta,
solida, come se il mondo finisse lì; resa più materica, invalicabile, dalla
profondità creata dalla prospettiva discontinua degli alberi e delle case
disseminate ai suoi lati. Sono nubi inconsuete, che si stagliano poco sopra
l’orizzonte da Sud a Sud-Est, dove è nascosto il sole. Ne vedrò il margine
arancione solo nei pressi di Treviglio, dopo aver percorso la statale
(Ovest-Est) in mezzo a una nebbia prima fitta e poi più rada, posata mollemente
tra i campi in strati di pochi metri che in città spariranno del tutto nella
luce abbagliante che mi accompagna a scuola.
19-11-08 (Mi è venuto di scrivere così, con
questa rozza scansione. Non è una poesia; sono solo appunti presi molto
velocemente ai semafori di Treviglio e lasciati incompleti dall’arrivo a
scuola, che ricopio senza la minima correzione. Pensavo a un amico francese,
pittore, che abitava sui Pirenei, vicino al mare, e che, dopo averla percorsa
in camper, mi aveva detto di avere trovato molto noiosa la pianura.)
La pianura educa alle differenze.
A quelle minime, alle sfumature.
Si potrebbe credere, per esempio,
che la campagna è piatta, livellata,
invece è mossa, tutta dislivelli,
onde, rilievi, balze e incassamenti.
Cigli rialzati, fossi, massicciate,
poi distese lisce, non sconfinate,
scandite da filari di robinie,
da qualche gelso, o vecchio noce, o platano,
da arbusti addensati in una macchia,
in boschetti...
22-11-08
Il vento di tramontana stanotte ha ripulito
l’aria e dato il colpo di grazia alle ultime foglie. Per la prima volta vedo il
boschetto della lanca spoglio. Al Palazzetto mi appaiono gli Appennini
vicinissimi, con il profilo disegnato netto contro il cielo dal sole non ancora
sorto alle loro spalle. Viceversa, a Nord, le Alpi sono più torbide, roseo-grigie
come le nubi sottili le coprono il cielo a Nord-Est. Le nubi però hanno
tonalità più scure nei grigi e più marcate nei colori, che virano verso
differenti violetti e rosa-arancio, con squarci orizzontali di azzurro molto
limpido.
All’ingresso di Treviglio, la scritta sul palazzo della Same-Deutz-Fahr
sembra illuminata dall’interno, rosso-arancio.
A scuola un piccolo alloro spezzato sul
marciapiede.
[l’appunto precedente mi ha indotto a prestare
maggiore attenzione allo stato attuale del fogliame. Ecco le risultanze addì 23
novembre:
Spogli: robinie, noci, tigli;
Quasi spogli: melograni, ippocastani platani,
pioppi e carpino bianco (foglie gialle)
Frassini: spogli, eccetto i grappoli dei
frutti(?)
Faggi: foglie residue verso l’alto, color
ruggine
Ancora con molte foglie allori e betulle (verde
pallido o gialline, queste)
... a seguire]
24-11-08
Ieri a Bergamo per la consegna del Premio
Calepino a Dacia Maraini. Un’ora per attraversare la città: non sapevamo dei
negozi aperti e dei mercatini. Trovato parcheggio solo all’Ospedale Maggiore.
Freddo mentre aspettavamo Pasqui, che, dopo aver preso un tè in una bella
pasticceria, ci ha portato in città con la sua auto e se n’è andata.
Arrivati che la sala delle cerimonie era
strapiena, atrio incluso. Sentito qualcosa su violenza e donne, salutati Lucio
e Tiziano e via quasi subito. Fuori non c’era più vento, l’aria era pulita e a
camminare verso il parcheggio non sentivo più freddo. Bella sensazione.
Il termometro in auto mia ha poi rivelato che
c’erano zero gradi.
Poi stanotte è nevicato. Angela era preoccupata
per i gattini portati a casa di sua mamma sabato, nonostante avesse
praticamente imbottito di lana la cuccia e l’avesse protetta fuori con una
specie di tenda di cellofan piuttosto robusto, lasciando solo uno piccolo
pertugio per il passaggio.
La neve è alta non più di 5 centimetri,
sufficienti però a imbiancare il paesaggio. Bello, senza riflessi. I colori
sono spariti: c’è solo il contrasto bianco-grigio. Il grigio del cielo ma anche
degli alberi, i cui tronchi stranamente non sono scuri.
Le strade per fortuna sono pulite. Bagnate ma
non sdrucciolevoli né ghiacciate. Temperatura –1/0.
(Rettifica dello stato del fogliame: i pioppi e
i platani ai lati della statale hanno ancora parecchie foglie.
Inoltre, verifico che l’insegna della
Same-Deutz-Fahr è illuminata, quindi sabato o non era stata accesa o c’era una
sovrapposizione di luce propria e riflessi solari: rispetto a oggi aveva però
una tonalità forte e un po’ più opaca.)
09-01-09
la nebbia partorisce epifanie
...-02-09
E’ da un po’ che non guardo bene il paesaggio
all’alba: è come se la neve che lo ricopre mi avesse anestetizzato la pupilla.
16-02-09
Ieri pomeriggio, tornando da una passeggiata a
Crema, Angela guidava e io leggevo e guardavo il paesaggio. Erano le 17,30,
c’era ancora il sole, ma prossimo a tramontare. Sul rettilineo verso Rivolta,
direzione Nord-Ovest, ho visto davanti a me le montagne. Era sereno, senza la
minima foschia, ma la luce debole rendeva le Prealpi delle masse scure,
incorporee e compatte, senza profilo. Le cime innevate alle loro spalle,
bianco-rosee-azzurrine, sembravano invece librate, come se avessero perso
l’ancoraggio con il fondovalle, in procinto di smaterializzarsi a loro volta,
con i contorni sfumati e le linee appena accennate, eppure ancora solide,
minerali: splendide nella tersità dei loro colori che brillavano sopra la
fascia buia delle colline scomparse e sotto il cielo azzurro.
Nessun commento:
Posta un commento