È comparsa in questi giorni una piccola folaga
transgender (o transspecific, più correttamente), che senza eccessivi problemi
di identità si è aggregata alla tribù delle anatre, che l’hanno accolta, come
loro solito, senza difficoltà, al contrario della famiglia delle oche
gigantesse che hanno sempre respinto, o tenuto a sdegnosa distanza, le
richieste di assimilazione (o almeno di integrazione) dell’oca solitaria bianca,
di una specie appena diversa, residuo forse di un altro gruppo migratorio,
abbandonata anche da quello forse, che appare sempre oppressa da gravi problemi
esistenziali. Sta nei paraggi delle tre gigantesse quando sono a terra, ma
senza avvicinarsi troppo, perché altrimenti viene aggredita e cacciata in malo
modo, come se respirare la stessa aria, o scambiare uno sguardo, due parole,
potesse risultare letale all’integrità della sacra famiglia (o della trinità,
non ho ben capito; mista però); o le segue a distanza quando sono in acqua,
sulla stessa linea di navigazione, come se si fosse attardata e stesse per
raggiungerle, ma senza fretta, che tanto sono lì, stanno “insieme”, sono “sue”.
Di solito però se ne sta da sola, in un angolo non
troppo lontano, ma chiaramente delimitato, dove nessuno entra perché a nessuno
interessa entrare, affranta da una stanchezza di stare al mondo che lei per
orgoglio maschera da fatica fisica, col capo chino, pesantissimo, preludio a un
sonno che tarda ad arrivare ma sempre incombente, irresistibile. Non fatico a
darle ragione: avrei anch’io quell’aria desolata se fossi sempre, ma proprio
sempre, solo. Alla lunga l’isolamento pesa, altro che storie!
Allora lei si unisce, ogni tanto, al popolo delle
anatre. Come la piccola folaga, che pure in questo periodo non ha compagno o
famiglia. Come già detto in varie salse (nessuna malizia culinaria sottintesa),
le anatre amano la compagnia, qualsiasi compagnia, si direbbe. Appena sono
sole, o in piccoli gruppi, si parlano da lontano, si corrono incontro, fanno
assembramento. Una manciata qua, una più a monte, verso il bosco,
un’altra sulla riva opposta: ma all’ora del tè, che per loro cade abbastanza
spesso, si riuniscono tutte da qualche parte, per la consueta adunata fluviale,
allegre e chiassose. Hanno proprio un bel carattere. Sono accoglienti,
ospitali: ecumeniche. Fossero pure così numerose da coprire interamente la
superficie del fiume, se qualcuno arrivasse chiedendo un po’ di spazio loro si
stringerebbero per fargli posto e continuerebbero a ciacolare come se niente
fosse. Non si accorgerebbero nemmeno dell’intruso, come succede in questo
periodo con la folaga o l’oca solitaria. Secondo me non è che non fanno caso
alle differenze: non le notano neppure, ed è proprio questo che gli fa più
onore. Le adoro!
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