Dopo i temporali che nella tarda
primavera arrivano sempre al tramonto – come se avessero durato tutto il giorno
la fatica di rappezzarsi assieme per poi scaricarsi in un attimo violento che
non impaurisce nessuno, nonostante il loro addensarsi minaccioso a ridosso
delle montagne, contro le quali cercano uno stentato appoggio, e poi la corsa
precipitosa verso la pianura con la fretta di chi vuole evitare la figuraccia
di dissolversi ancor prima di avere assolto il proprio compito – , la luce
fatica a tornare indietro, ma non rinuncia a celebrare un suo trionfo un po’
imbarazzato. È come aranciata infatti, ma debole, per
quanto ancora capace di assegnare alle cose il loro netto volume, e proietta
macchie rosa sulle nubi che vanno verso sud a tentare di ingannare qualcun
altro, ma con scarsa convinzione, tanto che una specie di pudore indiretto le
tradisce. Il muro di casa mia è invece di un caldo sanguigno, fluido e corposo
insieme. Io sono sul balcone che lo fisso, e ogni tanto mi volgo altrove.
Nessun commento:
Posta un commento