Sono
solo in due seduti all'ombra: un ragazzo su una seggiola pieghevole, che
alterna ogni mezz’ora dal sole moltiplicato dal prolungamento in cemento della
spiaggia alla precaria protezione di un oleandro che segna il limite tra la
passeggiata a mare e la strada poco frequentata, e una vecchietta su una sedia
a rotelle. Accanto a lei, su una panchina al sole, un uomo sulla sessantina,
probabilmente suo figlio, che parla con un paio di donne del posto e ogni tanto
si alza per spostarla, inseguendo con millimetrica pignoleria il bordo
dell’ombra nella sua traiettoria.
Il
ragazzo, o più precisamente: il giovane, accavalla le gambe e si aggiusta gli
zoccoli ai piedi, si guarda attorno e, ad intervalli regolari, sbircia di
soppiatto la vecchia: non lo vorrebbe mostrare forse, ma lo ha sempre attratto
l’immobilità silenziosa dei vecchi, come una ripetizione insistita di un niente
che si trasforma in forza, l’assoluta inerzia che si fa impermeabile,
inattaccabile. Gli sembra che non pensino a nulla ed è come aspirato dal vuoto
della loro mente, vorrebbe navigarci, fluttuare, in pause diverse dalle sue che
poi si allargano sempre più fino a mutare in pausa l’oggetto che le interrompe,
per espellerlo infine irrevocabilmente o lasciare che si spenga da solo, per
mancanze di qualsiasi resistenza; ma la forza stessa che lo attrae è quella che
infallibilmente lo respinge. Perciò si rassegna a fissarli; con un’insistenza che
si arresta solo al limite della sfacciataggine percorre la loro fissità per
almeno descriverla come palliativo, si adegua al suo ritmo, incollato, e ripete
i loro unici movimenti, che sono quelli, lenti e spesso interrotti, degli
occhi.
Questa
vecchia si direbbe sui novant’anni, se non di più. Ha un viso scuro e scarno,
segmentato da un’intensa quanto disordinata rugosità e da una sottile e
sporadica peluria, le mascelle come saldate senza alcuna sbavatura o
prominenza, gli occhi che non denotano cedimenti, aperti a fessura. L’omogeneità
continua della pelle è stata sostituita da un tessuto di macchie di varia
gradazione e misura, di cifra illeggibile ma radicata da tanto tempo ormai da
rendere impensabile un precedente originale. Sotto il cappello di paglia
sfilacciata a forma di campana mozza, di un colore giallo vivo interrotto alla
base della falda da un nastro grigio sbiadito, spuntano pochi capelli
biancastri, a ciuffi radi, e degli orecchini a goccia incastonati di pietruzze
dure color sangue, magari preziose ma di taglio approssimativo. È magra ma non
minuta: le caviglie, infatti, come i polsi, sono tonde e robuste. La destra, a
causa del piede leggermente obliquo, è sbalzata in tre o quattro piccole grinze
di carne, che non possono essere grasso, dalla pressione delle calze elastiche;
l’altra si congiunge senza la minima protuberanza al piede perpendicolare, come
in un unico blocco privo di articolazione. Per quanto sia difficile calcolare
l’influenza dell’immobilità a cui è costretta e il rattrappimento derivato
dall’età, da giovane doveva essere stata abbastanza alta. Lo suggerisce il
busto allineato allo schienale, lungo ed eretto, che comincia a incurvarsi solo
all’attaccatura del collo, in un breve arco che si arresta subito alla nuca
senza costringere a piegarsi verso terra la testa, che si mantiene rigida anzi
e non tradisce nessuna debolezza anche a dispetto dell’afa che invece sta
sfiancando il suo scrutatore. Porta un lungo vestito di cotonina nera a
fiorellini bianchi e azzurri, con gambi ben marcati di un verde intenso. Dal
grembiule aperto che lo ricopre, sempre di cotonina ma stinta e a sfondo blu
stavolta, dalla decorazione di certi damaschi, policroma però: ocra rosso
marrone verde e bianco, spuntano le mani, serrate sulla fronte dei braccioli
nel solo atteggiamento che riveli, oltre agli occhi, una forma di vitalità.
Il
giovane sta leggendo un libro che certo non gli piace, e ad ogni capoverso si
volta a controllare se la vecchia c’è ancora, con la scusa di guardare nel mare
tre navi spuntate all’improvviso. Vede la stoffa del grembiule che si increspa
per qualche refolo, le mani sempre serrate come a spremere il cuoio dei
braccioli, la testa sempre di profilo, le labbra chiuse e quasi ridotte a un
duplice filo rosa, gli occhi che ogni tanto seguono i passanti fin dove
permette la fronte immobile, senza rincorrerli ma nemmeno fuggirli. Non vedono
però il giovane che ora sta scrivendo lì di fianco, né lo guadano quando si
alza, imbraccia con voluto rumore la sua seggiola e di proposito attraversa il
suo campo visivo per tornare al sole perché il vento si è rafforzato e ha
freddo. Sentendosi del tutto ignorato, lui decide, pur sapendo che è la
reazione dei deboli, di ignorarla a sua volta. Riapre la seggiola e quindi il
libro, legge qualche riga con scarsa attenzione e subito ritorna a fissare le
navi immobili, a distanze diverse forse, ma sempre, come di regola, allineate
sul filo dell’orizzonte. Le barche e le vele invece sono tutte più o meno
lontane, ma solo da terra.
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