C’era
questa Nemesis, alla mostra di
Palazzo reale, che, dicono, sarebbe una rappresentazione della giustizia
distributiva, per la cui figura Dürer si sarebbe ispirato alla dea del destino
come descritta dal Poliziano nel suo poema latino Manto, che unisce tratti della Nemesi greca con quelli della
Fortuna romana. Bene. Si dicono anche altre cose, tutte utili a una corretta
comprensione, che è opportuno sapere anche da parte di chi alla corretta
comprensione è interessato fino a un certo punto. Ora che le so, posso
dimenticarle. La corretta comprensione serve a questo, a essere archiviata. Conosciuta,
usata e messa da parte, sempre pronta per essere ripresa all’occorrenza. E solo
dopo, dimenticata. Se no ti ricade tra capo e collo, come giusta nemesi.
Quando mi
sono trovato davanti questa incisione, la prima cosa che ho notato, archiviato
illico et immediate il corpo poco aggraziato, è stato che la figura sembra che sorrida.
Lievemente, con un sorriso appena accennato, quasi impercettibile, ma che si
precisa in un sorrisetto compiaciuto non appena lo si guarda con un po’ di
attenzione. Sì, Nemesi sorride. C’è un’indubbia soddisfazione nel calare
dall’alto, con tutto il proprio peso, massiccio e sgraziato, a portare nel
mondo la giustizia, o un suo simulacro. Io la nemesi l’ho sempre intesa più come
vendetta che come giustizia. È vero, fa giustizia, ma è quella che non va
troppo per il sottile, sempre violenta, che alcuni, gli dei per esempio o
qualche loro rappresentante più o meno legale, pongono in atto laddove la legge
non c’è, o non ha funzionato. La invochiamo tutti, qualche volta, anche se non
sempre apertamente. Perché sembra meschino, e lo è quasi sempre, e gente
sensibile come noi se ne vergogna.
C’è da
chiedersi se è vero che la Nemesi riequilibra davvero. Se non crea nuovi
squilibri che si manifestano non appena lei se ne va con quella sua aria vanesia. Lei è trascendente, non sta nelle cose, nel mondo, lo guarda
dall’alto, separata dalla valle sottostante dal ripiegamento non delle nubi e
del cielo ma come dell’orlo stropicciato di un tessuto, una parte del quale va
a confondersi con il lembo inferiore di quello che, non si capisce perché dal
momento che non ha nessun’altra funzione se non quella di svolazzare, che le
pende dalla spalla sinistra. Forse perché, nonostante lei sia al momento
immobile, lassù tira sempre un vento forte, difficile da respirare se non sei
un dio.
Nel
villaggio deserto su cui incombe, a parte una figurina sul ponte di sinistra, e
un paio di segni che potrebbero alludere a esseri umani nello spiazzo presso le
cataste di legno e sulla stradina alla sua destra, sembra che nessuno si
accorga della sua presenza. Non sospettano. Non temono. O forse sì, e si sono
chiusi tutti in casa perché tutti qualcosa da temere, qualche torto da
raddrizzare sanno di averlo commesso? O sono spariti tutti perché se si fa
veramente giustizia non resta più nessuno?
Lei
sorregge con la mano sinistra le briglie con cui dovrebbe governare il destino,
che però qui non si vede, come non si vede mai da nessuna parte, se non
nell’illusione di chi guarda le cose a libro chiuso. Ammesso poi che il destino
si lasci imbrigliare. Ad ogni buon conto, lei tiene le briglie saldamente come se
da un momento all’altro dovesse usarle. Anche lei si illude, mi sa. Con la
destra invece, direi elegantemente se la mano non fosse tutt’altro che
delicata, come quelle delle sante che reggono l’insegna del loro martirio,
piatti con occhi e seni o altri oggetti che sembrano librarsi per aria da soli,
senza peso, tiene un calice prezioso chiuso da un coperchio, in cui immagino ci
sia la medicina che sta per somministrare ai suoi pazienti.
Il suo
corpo, ora posso tornare a guardalo, è massiccio, con due gambone in cui
spiccano cosce atletiche da cui si dipartono, sul retro, sotto i fianchi bene
in carne, due natiche tonde, propriamente semisferiche, sodissime, ma piccole
in proporzione, e sopra, davanti, un ventre altrettanto sporgente, più gonfio
che sodo tuttavia. Pare che nel costruire questo corpo, il grande artista abbia
inteso applicare, da quel perfetto umanista che era diventato, il canone di
Vitruvio, in un modo però che non ho riscontrato altrove e che poco ha a che
fare con altri nudi da lui prodotti, anche se a volte una tendenza alla
muscolosità e all’abbondanza in certe forme femminili è possibile rinvenirla, e
che qui la scelta di questo corpo monumentale, massiccio e temibile, voglia
alludere alla “gravità” del suo dominio, alla minaccia sempre incombente del
intervento, per nulla attraente. Come il suo volto del resto, che si staglia su
quello che sembrerebbe un doppio mento, con un occhio perfetto sotto tutti gli
aspetti, per carità, ma che a me sembra un po’ da gallina, sornione eppure vuoto,
forse condizionato dall’espressione della bocca appena corrucciata, non da un
broncio, ma da una sicumera che a uno verrebbe voglia di tirargli una sberla,
se non fosse costituzionalmente per la non violenza (se non temesse per la
sicura ritorsione).
Sorride
sicura, lei, sì. I piedi però non poggiano saldamente sulla sfera, che
rappresenta l’instabilità del mondo mondo, della vita traballante dei poveri
mortali. Il piede sinistro forse sì, ma appena appena, mentre quello destro
sembra lambire il versante esterno della sfera solo con il tallone, tanto che
basterebbe il minimo movimento a far cadere la vendicatrice con effetti ridicoli
per lo spettatore ma devastanti sul mondo sottostante.
Forse
allora Dürer vuole farci riflettere che se la Nemesi riporta equilibrio tra le genti, gli eventi e le cose, lei, quanto a sé, in equilibrio lei non è.
Ha le ali, però.
Molto divertente, caustico e dottamente irriverente. Vedo che continui a divertirti alle spalle degli aristi utilizzando le immagini internet, ma comunque un risultato lo hai ottenuto almeno con me: andrò a vedere Durer a Palazzo Reale (ma non ho la grana per entrare!). Sarà il mio spirito mal tourné, sarà sessuomania, sarà quello che vuoi, ma io nella mano sinistra della Diva ho visto sorreggere un cazzo eccitato, come a dire."ve lo metto nel culo a tutti", il che ci sta con la Nemesi. Però poi mi sono perso nei meandri di quel mondo di sotto bulinato dal grande artista crucco (e crucco proprio per come rappresenta la donna (donna?), come Granach, come Grunevald ecc. è un marchio di fabbrica tedesco e non per niente lui aveva passato le Alpi per lavare i panni della sua cruccheria nel Bel Paese, Vitruvio compreso). Perso proprio: sarà stato contadino, povero, retrogrado e, a volte, perverso, ma io ne ho nostalgia perché è scomparso completamente, invaso dalle lattine di Cocacola persino nei deserti. Facciamo qualcosa almeno per ricordarlo?
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