C’è questo signore sui 45-50’anni di
media statura, il corpo snello, i capelli castani, i lineamenti regolari, che
stranamente incontro solo quando non c’è nessuno in giro, almeno che io
ricordi, e che vedo da lontano venire verso di me con un passo regolare, un po’
meccanico, gli occhi spalancati fissi su qualche punto lontanissimo davanti a
lui, o dentro, tanto chiuso in se stesso da far dubitare che abbia mai visto
davvero qualcosa, e quindi nemmeno me, quando mi incrocia, e che pure, se sono
io a guardarlo, alza di scatto l’avambraccio destro, come spinto da una molla, tenendolo addossato al
corpo, il palmo della mano in avanti, le dita serrate le une contro le altre,
chinando impercettibilmente la testa (a meno che non sia una proiezione mia), senza
espressione, ma come chi si arrende, a cosa o chi non si sa, e poi prosegue con
lo stesso ritmo, allontanandosi senza una parola. Altre volte invece mi passa
accanto e se ne va con quella sua andatura monotona, il corpo rigido, non dando
segno di aver nemmeno notato la mia sagoma, lo spostamento d’aria prodotto dal
passaggio, l’ombra che il mattino proietta su di lui, come se io fossi un
fantasma. E anche meno. Niente.
Nessun gesto, nessuna occhiata, nessun
cenno, nemmeno l’abbozzo di un saluto, una sillaba, un sibilo, l’eco del
respiro. Eppure già a scorgerlo da lontano un po’ mi inquieto, lo sento, in
modo vago, minaccioso, non per qualche violenza che venga da lui, ammesso che
ne sia capace, e che se ne accorgerebbe quand’anche la esercitasse, ma da me,
da qualche punto che da grandi lontananze (eppure accosto, appena dietro una
parete fragilissima) si risveglia al suo apparire e che, per quanto io cerchi
di rassicurarmi, mi fa paura. Una paura che mi avvelena ogni fibra e mi fa vergogna.
Mi sento chiamato in causa senza appello, sollecitato
dall’assenza di sguardo, più ancora che come mi capita con i ciechi, perché qui
gli occhi hanno la potenzialità di vedere, vedono senza vedere, vedono senza
vedersi vedere, non vedono ciò che guardano. Non: vedono ma non guardano, bensì:
né vedono né guardano, sono spalancati sull’abisso del vedere, del puro vedere
senza soggetto né oggetto. Quello in cui potremmo cadere da un momento all’altro,
e forse in cui sempre siamo.
Chi fosse interessato a conoscere un altro episodio di questa piccola saga lo può trovare qui.
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