07/10/18

Tintoretto a Palazzo Ducale. 1 - La creazione degli animali



Va bene, ora passiamo a qualcosa di più serio.

Sono andato a vedere la mostra di Tintoretto a Palazzo Ducale. Niente di che. Accanto a pochi bei quadri e disegni mai visti, ce ne sono altri ampiamente visti in musei italiani (e alla stessa Accademia di Venezia, lì a due passi) e Europei. Niente in confronto a quello che si può ammirare facendo un giro in città. Per non parlare di quanto racchiude lo stesso Palazzo Ducale, che però, per immensità e tipologia di opere, più che lasciarsi osservare e ammirare, stordisce. A meno di tornarci più volte e di dedicare varie ore quasi a ogni sala, dotandosi di binocolo e di collare per reggere la testa sforzata verso l’alto. Quindi lasciamo perdere.
Il primo quadro che si incontra, sulla destra, nella prima sala, è, molto convenientemente, un quadro sulla creazione. “La creazione degli animali”, per la precisione. Un’opera del 1550-53, cioè del Tintoretto poco più che trentenne (è nato il 29 aprile del 1519: da qui i festeggiamenti per il cinquecentesimo anniversario, che come al solito cominciano già l’anno prima, perché se no si corre il rischio di perdere qualche treno, in Italia notoriamente in ritardo, come ho avuto modo di verificare io stesso ieri, perdendo una coincidenza, ottimisticamente studiata – siamo sempre in Italia – con uno scarto di 6 minuti: ripeto, 6 minuti… Amen), e arrivata lì dopo un brevissimo viaggio dalle pareti dell’Accademia. È un’opera, sembra, tra quelle numerose che il pittore ha sempre fatto per le pareti delle confraternite, grandi e piccole (come quella di San Rocco, che è una delle meraviglie del creato che, lo confesso, la prima volta che ci sono entrato mi ha fatto piangere), di fattura in questo caso non eccelsa, o quantomeno non accurata (magari era appeso in alto). Nel quadro, un Padreterno canuto e barbuto, ma dalla pelle giovanile e dal gesto insieme deciso e delicato, domina, circonfuso di luce, il centro della scena, in volo appena sopra la superficie terrestre. Sotto di lui alcuni animali, in particolare un cane che lappa l’acqua del mare, che a quanto pare non è ancora salata; o se lo è, lui lo scoprirà presto. Sono tutti gesti aurorali, i primi dopo l’origine. Davanti al Creatore i pesci nel mare, uno per tipo, e gli uccelli per aria (cigni, anatre, beccacce…) sono ordinati in vere e proprie squadriglie che vanno all’assalto del margine sinistro del quadro, verso il cielo e il mare aperto, come sospinte dal suo gesto, ma contromano rispetto al senso normale di lettura, cosa che tuttavia invece di ostacolare la percezione del movimento sembra accentuarla, mentre in alto a destra, sotto due oche selvatiche (credo) attardate, la testa di un unicorno un po’ allarmato sorveglia che tutto sia fatto a puntino, e sotto di lui, in basso a destra, dove di solito la lettura, anche dei quadri, termina, la testona di una mucca sbircia lo spettatore, come fa in genere l’autoritratto del pittore, forse a mo’ di suo rappresentante, o alter ego, con un occhio sorpreso, umido e un po’ impaurito, come spesso capita a quei bravi animali quando un mostro sconosciuto, bipede, si avvicina e, ricambiando lo sguardo, li scruta con un fondo che non manca mai di essere minaccioso. Qui il mostro non c’è, ma non dev’essere lontano. Come la fine, quasi sempre nota. Anche alla mucca stessa, in qualche modo, già nel momento di venire al mondo.

(E come un bravo soldatino, al passo con la mia squadriglia mentale, anch’io mi appresto a compiere il mio dovere, incontro alla  mostra con animo gagliardo.)

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