Va bene,
ora passiamo a qualcosa di più serio.
Sono
andato a vedere la mostra di Tintoretto a Palazzo Ducale. Niente di che.
Accanto a pochi bei quadri e disegni mai visti, ce ne sono altri ampiamente
visti in musei italiani (e alla stessa Accademia di Venezia, lì a due passi) e
Europei. Niente in confronto a quello che si può ammirare facendo un giro in
città. Per non parlare di quanto racchiude lo stesso Palazzo Ducale, che però,
per immensità e tipologia di opere, più che lasciarsi osservare e ammirare,
stordisce. A meno di tornarci più volte e di dedicare varie ore quasi a ogni
sala, dotandosi di binocolo e di collare per reggere la testa sforzata verso
l’alto. Quindi lasciamo perdere.
Il primo
quadro che si incontra, sulla destra, nella prima sala, è, molto
convenientemente, un quadro sulla creazione. “La creazione degli animali”, per
la precisione. Un’opera del 1550-53, cioè del Tintoretto poco più che trentenne
(è nato il 29 aprile del 1519: da qui i festeggiamenti per il cinquecentesimo
anniversario, che come al solito cominciano già l’anno prima, perché se no si
corre il rischio di perdere qualche treno, in Italia notoriamente in ritardo,
come ho avuto modo di verificare io stesso ieri, perdendo una coincidenza,
ottimisticamente studiata – siamo sempre in Italia – con uno scarto di 6
minuti: ripeto, 6 minuti… Amen), e arrivata lì dopo un brevissimo viaggio dalle
pareti dell’Accademia. È un’opera, sembra, tra quelle numerose che il pittore
ha sempre fatto per le pareti delle confraternite, grandi e piccole (come
quella di San Rocco, che è una delle meraviglie del creato che, lo confesso, la
prima volta che ci sono entrato mi ha fatto piangere), di fattura in questo
caso non eccelsa, o quantomeno non accurata (magari era appeso in alto). Nel
quadro, un Padreterno canuto e barbuto, ma dalla pelle giovanile e dal gesto
insieme deciso e delicato, domina, circonfuso di luce, il centro della scena,
in volo appena sopra la superficie terrestre. Sotto di lui alcuni animali, in
particolare un cane che lappa l’acqua del mare, che a quanto pare non è ancora
salata; o se lo è, lui lo scoprirà presto. Sono tutti gesti aurorali, i primi
dopo l’origine. Davanti al Creatore i pesci nel mare, uno per tipo, e gli
uccelli per aria (cigni, anatre, beccacce…) sono ordinati in vere e proprie
squadriglie che vanno all’assalto del margine sinistro del quadro, verso il
cielo e il mare aperto, come sospinte dal suo gesto, ma contromano rispetto al
senso normale di lettura, cosa che tuttavia invece di ostacolare la percezione
del movimento sembra accentuarla, mentre in alto a destra, sotto due oche
selvatiche (credo) attardate, la testa di un unicorno un po’ allarmato
sorveglia che tutto sia fatto a puntino, e sotto di lui, in basso a destra,
dove di solito la lettura, anche dei quadri, termina, la testona di una mucca
sbircia lo spettatore, come fa in genere l’autoritratto del pittore, forse a
mo’ di suo rappresentante, o alter ego, con un occhio sorpreso, umido e un po’
impaurito, come spesso capita a quei bravi animali quando un mostro
sconosciuto, bipede, si avvicina e, ricambiando lo sguardo, li scruta con un
fondo che non manca mai di essere minaccioso. Qui il mostro non c’è, ma non
dev’essere lontano. Come la fine, quasi sempre nota. Anche alla mucca stessa,
in qualche modo, già nel momento di venire al mondo.
(E come
un bravo soldatino, al passo con la mia squadriglia mentale, anch’io mi
appresto a compiere il mio dovere, incontro alla mostra con animo gagliardo.)
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