Togli la poesia e il sapere antico e
questo è quello che rimane. Storie nude, semplificate, viste da lontano. Da un
fuori che ignora, e che si ignora. Che ignora di essere un fuori e ignora che
cosa mai esso stesso sia, da dove parla e in base a cosa. Ironico e saccente,
eppure forse con una capacità di poesia esso pure. Dall’incanto che nasce
proprio dall’ignoranza di se stesso. Dal proprio punto cieco. Dove uno pensa di
essere nella luce della piena comprensione sfrondata di tutti gli orpelli e non
vede il buio su cui poggia, lì comincia a parlare. In quel luogo ignorato,
senza corpo e definizione, lì comincia a aver luogo la sua parola. Il che
significa che chi in-canta è sempre cieco. E’ sempre Omero. Tutta roba
risaputa. Scontata, e quindi a sua volta poco vista, presto dimenticata.
Non si hanno molte notizie delle
ultime parole di Achille. Se mai quell’uomo di grandi emozioni e poche parole,
belluino, di grida pianti e urla, qualcosa ha detto. La sua morte fu narrata a
posteriori, per sentito dire. Inventata, e solo da lì descritta.
Il tallone trapassato dalla freccia è lo stesso a cui si narra che sia stato
appeso, infilzato, dal pastore che avrebbe dovuto ucciderlo il piccolo Edipo,
che da lì ne avrebbe derivato la zoppia? Esiste una storia comparata del
tallone? O era il tendine?
E’ probabile che quando fu colpito,
Achille ammutolì dallo stupore di veder realizzata una profezia a cui non aveva
mai creduto. E che anzi aveva apertamente sfidato lasciando proprio quell'unica
parte del corpo scoperta, non protetta dall’armatura.
Altri dicono che non morì in quel
modo stupido, ma in un altro più stupido ancora, perché simile a quello di
tutti. Allora, di fronte a questa a suo modo sconvolgente banalità, qualcuno
inventò la storia dell’immersione nello Stige e dell’invulnerabilità, e poi
della profezia e del suo compimento. E poiché a noi piacciono le storie, e gli eroi
non possono essere banali, ricordiamo solo quella.
C’è anche chi dice, però, che
Achille, come Elena che avrebbe passato il tempo della guerra di Troia nascosta
in Egitto, non si sia mai allontanato dal gineceo dove era piacevolmente
nascosto. Dicono infatti che all’arrivo di Ulisse preceduto dalla sua fama di
imbroglione matricolato, Teti abbia consigliato il figlio di prendersi una
vacanza e abbia messo al suo posto nel gineceo un giovane cortigiano
felicissimo dell’occasione propostagli. Sarebbe stato costui, opportunamente
istruito e convinto da molte belle promesse e da una sola, ma decisiva,
minaccia, a farsi “scoprire” come Achille, partendo poi verso Troia con il
furbo gabbato, come è normale che prima o poi siano tutti i furbi, dove per tenere
alto il nome usurpato e meritarsi tutti i conseguenti onori, si sarebbe
comportato come tutti si aspettavano dall’Achille vero, uccidendo e morendo al
suo posto, mentre questi avrebbe passato tutta la sua vita negli agi di corte
fino a tardissima età, mai sazio delle gioie della vita, eroe della felicità.
Non manca nemmeno chi sussurra che,
grazie alla madre e alla speciale benevolenza che con le sue attrattive si
sarebbe guadagnata dal padre degli dei, egli vive ancora, spostandosi di qua e
di là tra i suoi possedimenti, mondani eterei e marini, annoiando
immancabilmente i suoi ospiti, a ciascuno degli innumerevoli banchetti a cui
sono cooptati perché odia cenare da solo, raccontando con sempre nuovi dettagli
le imprese che quell’altro ha compiuto per conto suo in gioventù e che le
leggende che ne sono nate non hanno fatto che moltiplicare e amplificare,
germogliando in innumerevoli meravigliosi canti che alla fine hanno
giustificato la morte di quell’altro anonimo poveraccio e la sua vita di infinito
scioperato.
Nonché la nostra di avidi mangiatori
di storie.
Dicono
anche che il nostro eroe viva per sempre su un’isola alle foci di un grande
fiume (l’Isola Bianca alle foci del Danubio, ma non stiamo a sottilizzare), in
compagnia della sposa che non aveva fatto in tempo ad avere subito, essendo
giunto in ritardo al convegno dei pretendenti: la più bella delle donne come
lui era il più gagliardo e appetibile degli uomini, Elena, che alla fine lo
raggiunge per non separarsi più da lui, finché la morte non li separerà (almeno
stavolta, si spera…): morte da cui gli dei li avranno peraltro dispensati, non
si sa se per infinita benevolenza o per infinità, duplice, perfidia.
Le altre puntate qui
lhttps://grazioliluigimario.blogspot.com/2018/07/achilleide-appunti-1.html
e qui
https://grazioliluigimario.blogspot.com/2019/01/achilleide-con-divagazione.html
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