Un’amica mi manda una foto da
Micene e subito mi vengono in mente alcuni dei luoghi in cui ho maggiormente
avvertito, o mi è sembrato di capire, il sacro. Come all’arrivo a Micene,
appunto, camminando lungo un viale di alberi del pepe, o di eucalipti, verso le
tombe, accompagnato da canto fortissimo delle cicale.
E poi a Atene, salendo
lentamente, ma non a fatica, lungo la scalinata che porta all’Acropoli, con gli
occhi socchiusi, ridotti a una fessura, fermandomi ogni tanto a guardare in
giù, verso il mare.
E scorgendo da lontano, dal
deserto, con 41 gradi all’ombra, la città santa di Kairouan, in Tunisia, e poi
entrando nel grande cortile, in quel momento quasi deserto, della grande
moschea.
E ancora, dopo aver visto le
grandi rocce con i graffiti camuni a Capo di Ponte, quando, proseguendo sul
sentiero, e ancora avanti, fuori dagli alberi, mi sono ritrovato in una piccola
valle verdissima, con una fonte, o un ruscello in un angolo della spianata, nel
silenzio più totale, senza nessuno in giro, come se ogni essere vivente, cioè
mortale, si fosse ritirato da lì, o avesse preso una lunga pausa, per
riflettere, o dormire.
Ogni volta d’estate, con il
sole a picco, una luce sfolgorante, implacabile, che non feriva però, e anzi
avvolgeva, senza cancellare né trasfigurare. Che era semplicemente lì perché
così doveva essere.
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