06/02/21

Berlusconi metafisico. (2010)

 

(Non sono uno specialista del personaggio, e quindi è probabile che dirò cose risapute. Pazienza.)

Penso che Berlusconi sia una specie di eroe metafisico. Non fosse così deleterio e pericoloso. Ma anche così, perché gli eroi metafisici sono ambivalenti. Al di fuori del bene e del male, non sopra o sotto. Un trickser, ridanciano e insieme patetico, per certi aspetti, ma anche qualcosa di diverso. Non è così stupido da ignorare del tutto le implicazioni di ciò che fa e dei labirinti di menzogne che edifica in primo luogo per irretire se stesso, per rassicurarsi, ma trovo che lui stesso ignora in profondità la loro ragione, cioè la sua paura di morire, che è assoluta, come lo è il suo desiderio di essere amato, e di esserlo da tutti. Non è un genio del male, anche se in certi momenti lo sembra anche a me, con quelle occhiate e quei sorrisi luciferini che a volte gli sfuggono per un attimo, e anche se è una macchina che di male ne sforna a getto continuo in quantità difficilmente calcolabili; ma credo che se potesse, se ne avesse il tempo senza rinunciare a godere dei frutti del suo potere, andrebbe da tutti gli abitanti del pianeta, ad uno ad uno, per cercare di convincerli ad amarlo. La fame di ammirazione e di consenso popolare (e persino di invidia) sono solo un surrogato. Vorrebbe che ognuno gli dicesse quanto lo adora, che non lo dimenticherà mai, che non può morire, che non morirà. Che uno che è così amato sarà risparmiato dalla morte stessa, che lei pure lo amerà senza sfiorarlo. Come se ognuno con il suo affetto potesse liberarlo, atomo per atomo, dal terrore da cui è costantemente pervaso, dalla certezza che lo annienta già da vivo, la certezza che la sua vita sarà spazzata via per sempre e che, per quanto lui faccia, per quante tracce possa lasciare di sé, per quanti ricordi i secoli dei secoli potranno conservare, lui sarà ridotto a niente e niente di lui resterà. Nemmeno la minima, infimissima traccia. Niente, zero, nulla, nada de nada.

 

Io non gli do il mio amore, comunque. Di amore, dicono, ne abbiamo sempre più di quello che possiamo usare, però per lui non mi pare di averne da parte. Non ce l’ho con lui (ma un po’ sì; e più di un po’, anzi, a essere sincero; ma non nascondo che per certi aspetti mi è simpatico: non come puttaniere, in ogni caso): ho solo altri modelli. Non lo invidio e non lo odio. Cerco di essere indifferente. E ci riuscirei, se lui me lo permettesse senza invadere la mia vita praticamente ogni giorno, personalmente o indirettamente. Così un po’ lo detesto, e un po’ lo ammiro. Perché è come noi, come me: porta allo scoperto le nostre debolezze (e le nostre aspirazioni: potere, ricchezza, ambizione, salute, determinazione, energia, seduzione), ma con maggiore, assoluta intensità. E l’intensità, come l’assoluto, ha sempre del fascino. Ci sbatte in faccia quello che almeno una parte dentro di noi, piccola o grande, vorrebbe che fossimo e che avessimo; la parte che spesso non confessiamo nemmeno a noi stessi, quella di cui ci vergogniamo. È questo che, più di tutto, non gli perdoniamo.

 

(Appunto preso dopo aver letto un libro di Marco Belpoliti su Berlusconi, non ricordo se Il corpo del capo o Senza vergogna o altro, e trascritto quasi alla lettera. Attorno al 2010 quindi. Vale ancora.)

 

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